Roma – Alla luce delle recenti alluvioni che hanno colpito non solo Bologna ma, a partire dal 2023, anche diverse aree geografiche italiane, si sono riaccese numerose polemiche sulle cause che hanno provocato queste tragedie. A tal proposito l’Accademia Nazionale di Agricoltura, che da anni si batte per la lotta al dissesto idrogeologico e la corretta gestione dei boschi montani, ha deciso di interpellare i suoi accademici, esperti nazionali nei loro campi di riferimento, per affrontare il tema alluvioni in modo scientifico e non propagandistico.
Negli eventi dell’ultimo anno, oltre alle città gravemente danneggiate, numerose frane sono avvenute nei terreni collinari e gli allagamenti hanno colpito enormi distese di terreni agricoli, aumentando le preoccupazioni degli agricoltori, ormai soggetti sia alla siccità che alle alluvioni, con rilevantissime perdite di produzioni. Per spiegare tali fenomeni vengono spesso utilizzati termini tipo “cambiamenti climatici” ed “eventi eccezionali” ma, in realtà, il clima non cambia, bensì varia nel tempo regolato dai cicli terrestri. Oggi, come già avvenuto nei milioni di anni precedenti, le temperature stanno aumentando e non si è in grado di prevederne i picchi temporali, ma tale incremento, concatenato all’Effetto Serra e al riscaldamento di aria e oceani, sta modificando il regime delle piogge. Questo porta, dunque, al ripetersi di fenomeni già successi, anche in tempi abbastanza recenti, che allora non devono essere considerati eccezionali: le inondazioni del 1917 in Lombardia e del 1939 che colpirono molte zone della Romagna, l’alluvione del 1951 causata dalle acque del fiume Po che interessò i due terzi della provincia di Rovigo e quella di Firenze nel 1966 per la tracimazione dell’Arno.
In Italia, dal dopoguerra a oggi, la popolazione è cresciuta e con essa l’esigenza di insediamenti residenziali e produttivi, il che ha incautamente portato ad occupare luoghi a rischio idrogeologico, a ridurre la sezione degli alvei fluviali, nella credenza che gli argini fossero in grado di contenere le piene dei corsi d’acqua, riducendone la manutenzione. Oggi le soluzioni idrauliche proposte puntano al consolidamento degli argini e alla realizzazione di nuove opere di laminazione, tuttavia, viene tenuto in scarso conto il fatto che i depositi legnosi che ingombrano gli alvei dei corsi d’acqua, di cui si fa divieto di asporto durante i periodi di secca, vengono riversati a valle nei momenti di piena creando spesso delle vere e proprie dighe, per lo più in corrispondenza delle arcate dei ponti, tali da modificare il regolare deflusso delle acque con il risultato di provocare tracimazioni e rottura delle arginature. Dunque, la forte antropizzazione e il consumo di suolo avvenuti in Italia, si sono andati ad unire alla fragilità di molte zone, in particolare della Pianura Padana (storicamente alluvionale), che hanno fatto collassare le opere di salvaguardia del territorio ormai inadeguate su tutto il territorio nazionale.
Secondo l’analisi del Prof. Gilmo Vianello, Vicepresidente Accademia Nazionale di Agricoltura, già Ordinario di Pedologia, in pianura le tracimazioni e le esondazioni di molti corsi d’acqua hanno depositato sul suolo agrario coltri di sedimenti di spessori variabili prevalentemente limosi e ricchi in carbonati tali da causare difficoltà di drenaggio, impedimento all’infiltrazione, incrostamento e carenza di sostanza organica. Il suolo è una risorsa primaria vulnerabile e viene ingiustamente considerato una superficie “anonima”, in attesa di sola utilizzazione urbanistica, senza comprendere che un suolo interessato da eventi alluvionali è soggetto a perdita di stabilità strutturale, il che comporta un degrado della sua fertilità naturale che si riflette su un progressivo calo delle produzioni agricole. Nelle zone collinari e montane, si è potuto osservare come il suolo sia soggetto a preoccupanti forme di erosione diffusa, che si sviluppa su terreni agricoli acclivi lavorati a seminativo e di conseguenza per lunghi periodi non coperti da vegetazione. Tutto ciò è il risultato di una errata politica contro la zootecnica, con la progressiva perdita di prati inerbiti e prati–pascoli permanenti. Di conseguenza un contrasto efficace all’erosione dei versanti dovrebbe riguardare la regolamentazione delle attività agricole su versanti che superano il 20/25% di acclività, limitando la profondità delle lavorazioni meccaniche, ripristinando coltivazioni che assicurino la copertura vegetale e, dove possibile, reintroducendo una zootecnia a pascolo libero. Nei casi di coltivazioni arboree, prive di sistemazioni adeguate (muretti a secco, viminate, drenaggi, ecc.), si dovrebbero prevedere interventi sistematori dei pendii con l’ausilio di tecniche di ingegneria naturalistica tali da evitare ristagni idrici e, nel caso di nuovi impianti, valutare il grado di vocazionalità dei suoli. Sotto copertura arborea e su versanti inerbiti una buona gestione del suolo ne migliora l’attività microbiologica, ne favorisce il sequestro del carbonio, contribuisce alla sua stabilità di struttura essenziale per contrastare le forme di erosione superficiale.
Per il Dott. Paolo Mannini, già Direttore del Consorzio di Bonifica di Secondo grado per il Canale Emiliano Romagnolo, nel maggio 2023 in Romagna sono piovuti in pochi giorni tra i 400 e i 450 (400-500 litri per metro quadro), che sono poi arrivati concentrati nei fiumi in pianura, come sul fondo di un imbuto. In alcuni comprensori di bonifica italiani come, ad esempio, nella pianura alluvionale romagnola, il territorio è stato strappato alla palude con la bonifica per colmata (sollevando il livello del terreno rispetto a quello delle acque mediante il trasporto dei solidi dei corsi d’acqua). In questi territori di bonifica i fiumi sono normalmente pensili, cioè, canalizzati dall’uomo con un letto ad un livello superiore alla pianura circostante per permettere all’acqua di giungere al mare. Questi argini rappresentano sempre la primaria difesa idraulica del territorio e devono essere quindi rigorosamente e continuamente soggetti a manutenzione per evitare che la fuoriuscita dell’acqua possa nuovamente ricondurre il territorio a palude. In Italia serve una nuova e straordinaria opera di bonifica del territorio, che non potrà che avvenire mediante opere straordinarie, ma serve la reale volontà politica di utilizzare fondi ingenti solo per questo: casse di espansione delle piene per alleggerire le portate dei fiumi, canali diversivi, innalzamento degli attuali argini, costruzione di nuovi argini paralleli agli attuali e aree golenali nei punti di pericolo.
Il Prof. Guglielmo Costa, già Ordinario di Frutticoltura, Università di Bologna ha studiato che i danni dell’alluvione del 2023 in Emilia-Romagna, quella di cui ora abbiamo i dati, hanno colpito il settore della frutticoltura, dell’orticoltura e le aziende estensive interessando quasi 80.000 ettari (22mila di superficie orticola, circa il 30% della regione e 56mila di superficie frutticola, il 50% della regione). A seconda delle aziende, l’acqua si era mantenuta da 1 settimana sino a 20 giorni, ovvero tempi molto diversi che necessitano di soluzioni d’intervento differenti, e il pesco è stata le specie più danneggiata, soffrendo molto le situazioni di prolungata immersione e di ristagno idrico. La differenza tra l’alluvione del 2023 e quella del 20224 è che la prima avvenne in maggio, cioè in un periodo dove le piante sono in piena vegetazione e in alcuni casi hanno di fatto reagito superando le ferite che erano loro state inferte, mentre il recentissimo evento alluvionale è avvenuto in ottobre avanzato, dove le piante entrano in riposo vegetativo e i loro apparati radicali si vengono a trovare in una situazione di ristagno idrico molto pericoloso. A livello scientifico per la frutticoltura è necessario studiare rimedi e lo si può fare solo tramite la ricerca, che però impiega tempo, per creare una casistica alla quale rifarsi per i prossimi eventi ambientali e dare così risposte agli agricoltori, lasciati soli a decidere autonomamente quali soluzioni seguire.
Il Dott. Roberto Scozzoli, Direttore Apimai di Ravenna, ha eseguito 290 perizie, per un totale di quasi 6.000 ettari di terreno, dopo le due alluvioni avvenute in Emilia-Romagna e ha analizzato i gravi danni avvenuti nei terreni agricoli produttivi. Purtroppo, sia nei campi alluvionati che in quelli dove l’acqua ha ristagnati per giorni, si è notato scarsa ossigenazione, disgregazione della struttura e perdita di azoto, fosforo e potassio, fondamentali per la buona salute del terreno. In particolare, nei terreni senza apporto alluvionale, ma con un lungo perdurare dell’acqua sul terreno, questa ha provocato una pressione sul profilo di interesse agricolo nei primi 40/50 centimetri molto importante.Le piante, dunque, hanno avuto necessità di apporti superiori alla norma di macroelementi e il ripristino dei terreni sia dal punto di vista strutturale, fisico e minerale non sarà breve e necessiterà almeno di un quinquennio di “cura’’, che preveda poche asportazioni di residui vegetali e apporti di sostanza organica. Per ciò che riguarda proposte e consigli è fondamentale, in pianura, la pulizia ed il ripristino delle reti scolanti aziendali e consortili rivedendo i livelli di scolo perché, durante l’alluvione, si è ben notato che i livelli di scolo aziendali sono stati fatti senza seguire regole precise portando a scaricare l’acqua nei campi vicini, al posto che nei canali predisposti.(30Science.com)