Roma – Negli ultimi 100 anni l’Uomo ha distrutto o danneggiato una larga parte degli ecosistemi marini. Non fa eccezione il belpaese dove più del 30% delle praterie di fanerogame e del coralligeno è stato danneggiato da impatti antropici mentre le foreste di alghe brune e i banchi di ostriche hanno perso fino all’80% della loro estensione. La Commissione Europea ha fortemente voluto la legge sul Restauro della Natura attraverso la quale porterà nei prossimi mesi tutti i paesi membri a definire gli obiettivi e le priorità di restauro degli ecosistemi danneggiati dall’Uomo. In particolare, la legge spingerà i paesi membri dell’UE a restaurare il 20% degli habitat marini degradati entro il 2030, il 60% entro il 2040 e il 90-100% entro il 2050. Per creare un consenso diffuso e sviluppare un piano nazionale di restauro degli ecosistemi marini e al tempo stesso incentivare gli investimenti in questa direzione è necessario dimostrare che gli interventi hanno successo e che sono economicamente vantaggiosi. In questo modo, sarà possibile anche coinvolgere la società civile ed imprese private per stimolare lo sviluppo di nuovi settori imprenditoriali e nuova occupazione. A titolo di esempio, nel Progetto Europeo REDRESS, interventi di restauro stanno portando allo sviluppo di nuove tecnologie, con robot in grado di operare negli ambienti profondi. In questo studio pubblicato da Nature Communications, ricercatori italiani e di altre 15 nazioni, hanno analizzato i risultati di 764 interventi di restauro di ecosistemi marini in tutto il mondo. Gli habitat restaurati includono le praterie di fanerogame marine, le barriere coralline tropicali, il coralligeno del Mediterraneo, le foreste di macroalghe, le foreste animali, le mangrovie e anche gli ambienti profondi. Questa analisi ha dimostrato che il restauro degli ecosistemi marini ha un elevato successo in oltre 64% dei casi. Gli interventi di restauro ecologico sono stati sorprendentemente efficaci anche in aree in cui l’impatto umano non è stato completamente rimosso, dimostrando che è possibile avviare il restauro anche in siti di interesse nazionale, come il complesso industriale di Bagnoli (Napoli) o in aree caratterizzate da impatti multipli come l’Adriatico. Questi risultati dimostrano l’immediata fattibilità di un piano globale di “ripristino blu” anche per gli ecosistemi profondi colpiti dalla pesca a strascico. I benefici del restauro, secondo i calcoli riportati in questo studio sono molteplici, sia per raggiungere contributo agli obiettivi di mitigazione dei cambiamenti climatici, sia per promuovere la crescita blu e l’occupazione. Inoltre, i benefici economici possono rendere vantaggiosi gli investimenti nel settore. Ad esempio, il restauro delle foreste di macroalghe produce un valore compreso tra 55.000 e 190.000 euro/ettaro/anno. Quelli delle fanerogame possono produrre circa 20.000 euro/ettaro/anno. Restano tuttavia elevati i costi di restauro degli ambienti marini profondi, che possono costare da 5 a 50 volte di più rispetto agli ecosistemi costieri. Questo potrebbe rendere le attività estrattive minerarie dei noduli polimetallici non convenienti considerati i costi di restauro che si rendono necessari in seguito a queste attività fortemente distruttive. Già oggi oltre 350 aziende europee sono pronte a lanciarsi in questo settore che vedrà un mercato crescente nel campo del ripristino ambientale nei prossimi anni anche grazie alla legge sul Restauro della Natura. Le tecnologie sviluppate per il restauro saranno utili anche per compensare il danneggiamento di habitat marini dovuti allo sviluppo di porti, dighe, cavi marini, piattaforme petrolifere, eolico offshore e altre attività umane che possono causare impatti ambientali. Dichiara Roberto Danovaro, Università Politecnica delle Marche, coordinatore dello studio: “Lo sviluppo di nuove tecnologie per il restauro degli ecosistemi marini consente oggi di intervenire su aree sempre più ampie e di Restaurare anche ambienti soggetti a forte inquinamento”. E aggiunge: “L’efficacia degli interventi di restauro ecologico in mare è tale da non lasciare dubbi sulla possibilità
di puntare con convinzione in questa direzione”. Dichiara Simonetta Fraschetti Università di Napoli Federico II: “Si tratta di un contributo importante
alle ricerche del National Biodiversity Future Center, il grande progetto PNRR che vede coinvolti i principali Enti di ricerca e Università italiane. Un settore del progetto, infatti, è proprio dedicato al restauro e alla conservazione degli ecosistemi marini”. E aggiunge: “L’Italia ha competenze e capacità per facilitare con efficacia il recupero di molti degli habitat degradati che in modo crescente determinano una perdita netta in termini di beni e servizi ecosistemici, e che al contrario sono così importanti per settori strategici dell’economia italiana come il turismo blu”.(30Science.com)

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Ricerca, dimostrata l’efficacia degli interventi di restauro degli ecosistemi marini
(31 Marzo 2025)

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