Gianmarco Pondrano d'Altavilla

Tornano a vivere gli arazzi dei Vichinghi

(4 Ottobre 2024)

Roma – Non solo razziatori e abili naviganti: i vichinghi erano anche intessitori di arazzi. Un nuovo studio – guidato dalla Norwegian University of Science and Technology (NTNU) e i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal of Imaging Science and Technology – ha fatto il punto sui risultati di un progetto teso a ricostruire alcuni di questi sorprendenti manufatti, riportandone in vita lo splendore. I ricercatori sono partiti dalla nave di nave Oseberg una delle tre navi vichinghe meglio conservate al mondo. La nave è lunga 22 metri e larga 5.

La famosa nave Oseberg. Foto: Petter Ulleland, Wikimedia Commons, CC BY-SA 4.0

A bordo c’era spazio per 30 rematori, un timoniere e una vedetta. La nave è stata scoperta in una delle più famose tombe con nave dell’era vichinga, la tomba più riccamente corredata di quel periodo in Europa. Sebbene la maggior parte della nave e dei beni della tomba fossero schiacciati e rotti in piccoli pezzi, sono stati trovati gli scheletri di due donne e i resti dei loro cimeli. Questi includevano carri, telai, utensili da cucina e bauli contenenti frammenti di tessuto.

Gli archeologi hanno scoperto oltre 80 frammenti di uno o più arazzi nella nave Oseberg. Foto: George Alexis Pantos, Cultural History Museum

Tra i reperti rinvenuti dagli archeologi durante gli scavi fuori Tønsberg nel 1904 c’erano oltre 80 frammenti di uno o più arazzi. Potrebbero essere stati realizzati in lana mescolata a fibre vegetali. Gli arazzi erano probabilmente usati per decorare camere da letto, camere funerarie o sale durante le occasioni festive per persone di alto rango. Il fatto che si trovassero nel tumulo funerario con la nave di Oseberg indica che le due donne erano ricche e che ritenevano di poter portare gli arazzi con loro nell’aldilà. Per ricostruire completamente le raffigurazioni dell’arazzo o degli arazzi di cui facevano parte i frammenti i ricercatori del progetto TexRec finanziato dal Consiglio delle Ricerche Norvegese ha avviato una serie di analisi ed esperimenti cercando di sfruttare anche l’intelligenza artificiale, anche se le difficoltà non mancano. “I pezzi sono estremamente fragili e gli archeologi non sono in grado di spostarli fisicamente. Pertanto, stiamo sviluppando un software in cui le fotografie dei frammenti possono essere caricate e poi condivise digitalmente. Possiamo anche aumentare il contrasto delle immagini per rendere i pattern più visibili all’occhio umano. Ecco come possiamo risolvere digitalmente questo puzzle”, afferma Davit Gigilashvili, ricercatore post-dottorato presso il Dipartimento di Informatica della NTNU.

“Non sappiamo quanti arazzi ci fossero presso la nave di Oseberg. In altre parole, quando confrontiamo due frammenti, non c’è garanzia che appartenessero allo stesso pezzo di tessuto”, afferma Gigilashvili. Per far fronte al problema i ricercatori hanno tentato di utilizzare i modelli di analisi a apprendimento automatico che però non sono stati in grado di fornire risposte molto buone. Hanno visto milioni di foto di gatti e cani, autobus e biciclette e hanno imparato a distinguerli, ma non hanno mai visto le figure dei tessuti dell’era vichinga. Di conseguenza, spesso hanno commesso e commettono errori. Il team di ricerca si è quindi risolto a integrare i computer con l’esperienza degli archeologi. Questi fanno ipotesi su quali frammenti siano da collegare insieme e valutano poi i risultati. “Gli archeologi possono rilevare somiglianze nello stile e nelle tecniche di fabbricazione che possono indicare quali frammenti vadano insieme. I modelli di apprendimento automatico dovrebbero quindi trarre ispirazione da questo e imitare il comportamento degli archeologi. Sebbene i computer possano fornire suggerimenti interessanti e un aiuto prezioso, la competenza umana in questo lavoro è insostituibile e rimarrà tale per il prossimo futuro”, afferma Gigilashvili.(30Science.com)

 

Gianmarco Pondrano d'Altavilla