Roma – Ingegnerizzare i batteri per trasformarli in fabbriche di bioplastiche ecosostenibili, biodegradabili e meno tossiche per l’ambiente. A questo obiettivo sono stati orientati due studi, pubblicati sulla rivista Microbial Biotechnology e su Applied and Environmental Microbiology, condotto dagli scienziati della Washington University di St. Louis. Il primo team, guidato da Eric Conners, ha analizzato due specie poco note di batteri viola Rhodomicrobium, microrganismi capaci di effettuare un tipo di fotosintesi particolare, che non porta all’ossigeno come prodotto di scarto della reazione. In particolare, gli scienziati hanno scoperto che questi batteri possono produrre poliidrossialcanoati (PHA). Il secondo lavoro, guidato da Tahina Ranaivoarisoa ha dimostrato che l’ingegneria genetica potrebbe indurre i TIE-1, una specie ben nota di batteri viola, ad aumentare drasticamente la produzione di PHA. I due gruppi di ricerca lavorano nel laboratorio di Arpita Bose, professore associato di biologia e coautrice di entrambi gli articoli. “C’è un bisogno urgente di sviluppare bioplastiche visto il livello di inquinamento che caratterizza il nostro mondo – commenta Bose – il nostro approccio consentirebbe di produrre tali materiali senza provocare emissioni di anidride carbonica in atmosfera, e sarebbero completamente biodegradabili”. I batteri viola, spiegano gli esperti, sono un gruppo di microbi acquatici rinomati per la loro adattabilità e capacità di creare composti utili da ingredienti semplici. Tali microrganismi trasformano l’anidride carbonica in cibo utilizzando l’energia solare, utilizzando, però, pigmenti diversi dalla clorofilla verde per catturare la luce. I batteri viola generano naturalmente PHA e altri elementi costitutivi delle bioplastiche per immagazzinare carbonio. Nelle giuste condizioni, riportano gli studiosi, tali organismi possono aumentare notevolmente la produzione di poliidrossialcanoati. “I Rhodomicrobium – aggiunge Conners – sono associati a proprietà insolite, che li rendono interessanti come potenziali fabbriche di bioplastiche naturali. A differenza di altri batteri, questo genere particolare forma reti interconnesse che sembrano particolarmente ben equipaggiate per produrre PHA”. “I TIE-1 – continua Ranaivoarisoa – non sembrano i più adatti alla produzione di poliidrossialcanoati. Eppure, l’alterazione genetica mirata a incrementare l’azione dell’enzima RuBisCO, un catalizzatore che aiuta le piante e i batteri a catturare il carbonio dall’aria e dall’acqua, poteva trasformare i batteri in potenti centrali elettriche di PHA”. I ricercatori intendono ora valutare la possibilità di ottenere risultati simili, o addirittura migliori, con altri batteri. “Le bioplastiche prodotte dai batteri – conclude Bose – potrebbero rappresentare una soluzione reale per il futuro”. (30Science.com)
Valentina Arcovio
Batteri geneticamente modificati per realizzare bioplastiche
(26 Agosto 2024)
Valentina Arcovio