Giuseppe Novelli

Il “chi siamo e da dove veniamo” è molto più di un interrogativo filosofico

(11 Ottobre 2023)

Roma – In medicina, lo studio della variabilità interindividuale è da sempre una grande sfida: perché fenotipi differenti hanno manifestazioni differenti di una stessa malattia? Perché uno stesso farmaco produce effetti differenti tra i pazienti?

Il progresso tecnologico nell’ambito della genetica molecolare ha dimostrato che gli esseri umani sono geneticamente molto simili, ma profondamente diversi dal punto di vista fenotipico.

Ogni aspetto, particolarità o funzione che caratterizza ciascun essere vivente è fortemente influenzato dalla sequenza del DNA, molecola che contiene tutte le informazioni genetiche ed epigenetiche (interagendo con altre molecole) dell’individuo.

Con il completamento del Progetto Genoma Umano e soprattutto con il sequenziamento totale del genoma di alcuni individui è stato dimostrato che la maggior parte del materiale genetico umano (più del 99,5%) non varia tra gli individui; di conseguenza ogni individuo differisce da un altro solo per lo 0,5% del genoma, in cui risiede la variabilità umana.

Oggi lo studio di questa variabilità viene utilizzata per avere informazioni sui propri antenati per una rivalutazione della sua identità etnica. Molti di questi test sono del tipo fai-da-te e vengono offerti da molte aziende private, come appunto la 23andMe. Quasi 30 milioni di persone hanno effettuato questi test, oggi, nel mondo. Fra le motivazioni, la ricerca di informazioni sul proprio stato di salute: gli antenati possono influenzare la suscettibilità alle malattie. Ad esempio, è noto che le mutazioni della linea germinale BRCA1 e BRCA2 hanno un impatto sproporzionato sugli ebrei ashkenaziti, portando ad un aumento del rischio di cancro al seno, alle ovaie e alla prostata. Conoscere il proprio background genetico, in particolare il fatto di avere origini ebraiche ashkenazite, può influenzare il processo decisionale sanitario con utilità clinica. Glie ebrei ashkenaziti e i canadesi francesi possono scegliere di impegnarsi nello screening dei portatori della malattia di Tay-Sachs durante la loro pianificazione familiare oppure conoscere una propria discendenza africana può stimolare la ricerca familiare per l’anemia falciforme. Inoltre, per gli adottati, in particolare, la conoscenza dei propri antenati può informare le cure mediche consentendo una segnalazione più accurata durante la raccolta della storia familiare.

È importante notare che i test di ascendenza genetica hanno dei limiti. Possono fornire solo una visione parziale del patrimonio di un individuo e potrebbero non essere sempre in linea con la sua autoidentificazione o affiliazione culturale. Inoltre, l’utilizzo delle informazioni genetiche per definire l’identità etnica pone sfide e controversie, ed è essenziale affrontare queste discussioni con sensibilità e rispetto. Non esiste un “genoma puro” in base ad una particolare etnicità, l’appartenenza ad un gruppo piuttosto che ad un altro viene fatto attraverso la comparazione di similarità nel DNA presenti nel database di un computer. Ma una similarità genetica può determinarsi per vera ereditarietà oppure per casualità. Per questo è necessario conoscere la banca dati, e soprattutto come viene interpretato il dato genetico

Ecco perché è molto grave quanto accaduto a 23andMe. Rappresenta una violenza sulla persona, perché espone le informazioni più care, più segrete dell’individuo, quelle del proprio DNA, che contengono dati socialmente e culturalmente rilevanti.

La storia genetica di un individuo appartiene soltanto a lui: per questa ragione è opportuno che man mano che l’uso dei test genealogici e di ascendenza genetica diventerà sempre più disponibile e accessibile, sarà essenziale stabilire linee guida etiche e migliori pratiche per la raccolta e l’utilizzo dei risultati. Ciò richiederà il dialogo e la collaborazione tra ricercatori, genetisti, scienziati sociali e parti interessate della comunità per garantire che la raccolta e l’uso delle informazioni sugli antenati genetici avvengano in modo responsabile e rispettoso, limitandone la circolazione all’ambiente medico per migliorare la vita delle persone, tutelandole da utilizzi scorretti, strumentalizzazioni e pericoli di ogni sorta.(30Science.com)

 

Giuseppe Novelli
Professore Ordinario di Genetica Medica, Università di Roma Tor Vergata e Professore Aggiunto Università del Nevada, Reno (USA). Ha insegnato nelle Università di Urbino, Università Cattolica del Sacro Cuore. E’ membro dell’Academia Europaea (https://www.ae-info.org/). Presidente della Fondazione Lorenzini (Milano). E’ stato Preside della Facoltà di Medicina e poi Rettore dell’Università di Roma Tor Vergata; E’ stato socio Fondatore dell’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile). Ha svolto numerosi incarichi istituzionali, tra cui: - Componente del Consiglio Direttivo dell’ANVUR (Agenzia per la Valutazione delle Università e della Ricerca) (2010-2013). - Consiglio Superiore di Sanità (2015-2019) - Comitato Nazionale Biotecnologie e Biosicurezza presso la Presidenza del Consiglio (2019-attivo) Il Prof. Novelli, ha mappato, identificato e caratterizzato diversi geni umani associate a malattie genetiche quali la sindrome di Laron, la distrofia miotonica, la progeria e altre. Negli ultimi anni si è occupato di genetica dei caratteri complessi come la psoriasi, l’infarto del miocardio e i geni di suscettibilità alle malattie infettive come la tubercolosi, l’AIDS, e recentemente del COVID-19. In questo contesto ha identificato mutazioni potenzialmente letali nei geni che codificano per gli interferoni e caratterizzato i primi anticorpi monoclonali sintetici contro SARS-CoV-2 e ha scoperto una delle prime molecole antivirali contro il COVID-19, l’indolo-3-carbinolo. Autore di oltre 800 pubblicazioni internazionali con un H-index di 63. E’ inserito nella lista dei Top Italian Scientist nel settore delle Scienze Biomediche https://topitalianscientists.org/home