(30Science.com) – Roma, 7 feb. – Stefano Biagetti è romano e ha 47 anni. E uno dei 15 ricercatori italiani che hanno appena vinto un grant dello European Research Council (ERC) che gli permetterà di sviluppare le sue ricerche in un campo dell’archeologia davvero poco esplorato: quello della pastorizia. La sua è una carriera che, dopo la laurea alla Sapienza di Roma si è sviluppata fuori dai confini italiani. Ora lavora alla prestigiosa università spagnola Pompeu Fabra a Barcellona dove lo abbiamo raggiunto per conoscere i dettagli delle sue attività di ricerca.
Di cosa si occuperà il suo progetto?
“Ad oltre 70 anni dalla sua istituzione nel 2021 la FAO ha finalmente riconosciuto a livello ufficiale l’importanza dei sistemi pastorali in tutto il mondo, definendo il pastoralismo come una strategia di successo per raggiungere la sicurezza alimentare sfruttando in modo efficiente la variabilità intrinseca delle risorse naturali, tipica di molti ambienti del nostro pianeta. Questo endorsment rappresenta un traguardo storico, esito di un processo di riconcettualizzazione del pastoralismo iniziato negli anni 90 del XX secolo. Nel corso degli ultimi trenta anni abbiamo assistito a una sostanziale revisione dei modelli teorici utilizzati per studiare i sistemi pastorali, specialmente nelle terre aride, dove il pastoralismo è chiaramente il modo più efficace di produrre cibo. In concomitanza con la ridefinizione del pastoralismo come soggetto antropologico e socio-economico, nuove tecniche archeologiche hanno migliorato la nostra capacità di interpretare antichi paesaggi pastorali, smantellando l’idea diffusa che le società pastorali avessero svolto un ruolo passivo e secondario nei più importante processi socio-culturali delle società umane negli ultimi diecimila anni. Oggi sappiamo, per esempio, che le comunità pastorali giocarono un ruolo chiave nella diffusione di specie vegetali domestiche in Asia o nella formazione dello stato faraonico.
Nonostante i notevoli progressi nello studio delle antiche società di allevatori, i siti pastorali archeologici, che rappresentano archivi insostituibili per lo studio del comportamento umano, sono ancora difficili da affrontare con un approccio archeologico tradizionale. I resti degli accampamenti pastorali sono notoriamente ‘effimeri’, e caratterizzati da pochissimi resti materiali, e spesso da assenza di stratigrafia archeologica. Il progetto “(Re) C onstructing the A rchaeology of M obile P astoralism: bring the site level into long-term pastoral Narratives (CAMP)“ vuole sviluppare una metodologia innovativa per generare un solido registro archeologico dei siti pastorali che permetta di superare le loro scarse evidenze materiali.
CAMP si concentra sullo studio delle società pastorali nelle terre aride, sviluppando una metodologia innovativa e affidabile per studiare i siti archeologici pastorali. CAMP è un progetto multiregionale, rivolto a sei aree del Vecchio Mondo (cinque in Africa, Botswana, Kenya, Sudan, Marocco e Tunisia e una in Pakistan), dove il pastoralismo ha svolto un ruolo chiave nelle strategie di sicurezza alimentare sin dall’adozione del bestiame domestico. E’ importante ricordare che le zone aride ospitano ancora oggi sofisticate civiltà pastorali che rappresentano esempi eccezionali di resilienza nel tempo e nello spazio. Ma la storia è scritta nelle città, da società di sedentari, che nel corso dei secoli hanno sempre stigmatizzato, ignorato, o volutamente disprezzato il ruolo delle società pastorali.
CAMP propone un’innovativa metodologia multidisciplinare che integra: Etnoarcheologia, Archeologia, Scienze della Terra, Biochimica, Geografia e Geostatistica per identificare i marcatori chimici e biologici delle attività pastorali che si trovano dei depositi antropici e utilizzare tali “marcatori” per sviluppare modelli per la interpretazione dei siti pastorali, indipendentemente dalla presenza di altri resti materiali visibili. Oggi sappiamo infatti che tutte le attività umane lasciano nel terreno microscopici resti chimici e biologici. Indipendentemente dalla durata dell’occupazione del sito, tali marcatori possono essere identificati e studiati, rivelando quali siano state le attività che li hanno prodotti.
Quali possono essere le potenziali applicazioni di queste ricerche?
CAMP vuole sviluppare un originale protocollo di ricerca per lo studio dei siti archeologici pastorali. Tale protocollo sarà riutilizzabile e potenzialmente esportabile in ogni sito pastorale, indipendentemente dal contesto cronologico o geografico, aprendo la strada a una nuova archeologia del pastoralismo a livello globale. Inoltre, il protocollo sviluppato potrà essere applicato, con aggiustamenti minimi, a siti archeologici appartenenti a gruppi socio-economici diversi (cacciatori-raccoglitori, agricoltori).
Perché è così importante?
Ancora oggi le società pastorali del passato hanno un posto veramente marginale nella storia umana. Abbiamo bisogno di nuovi dati per riscrivere la storia o almeno alcune sue parti. Le faccio un esempio concreto invitando lei e i lettori a fare un piccolo sforzo. Provi a pensare a un deserto, o a una zona arida. Sabbia, rocce E’ il posto inospitale per eccellenza. E invece le zone aride sono abitate, oggi come nel passato da società pastorali che grazie alla mobilità e ai loro animali vivono (non sopravvivono) dove l’agricoltura è impossibile. Oggi come cinquemila anni fa. Cosa resta di questa frequentazione umana, di queste storie? Molto poco, qualche allineamento di pietra e pochi frammenti di equipaggiamento. L’archeologia tradizionale fatica con questo tipo di siti. Non c’è nulla da scavare. Eppure queste fugaci occupazioni lasciano tracce microscopiche, che sono quelle che CAMP vuole studiare. Ed ecco che un luogo vuoto, dove non ci sono tracce di vita umana, diventa una zona dove possiamo ricostruire la storia. Nel 2021 abbiamo pubblicato uno studio pilota nel quale abbiamo cominciato a sviluppare la metodologia proposta in CAMP, in un sito archeologico agro-pastorale relativamente recente (vecchio di 250 anni) nel Botswana (Africa Orientale), con risultati eccellenti. Abbiamo infatti potuto capire quale fosse l’uso delle strutture in pietra che componevano il sito e abbiamo anche identificato aree di preparazione del cibo, di lavorazione e di immagazzinamento, il tutto senza scavare ma esclusivamente analizzando con la fluorescenza a raggi X campioni di sedimento raccolti sistematicamente. Questo lavoro mi ha incoraggiato a continuare su questa linea, che peraltro presenta notevoli vantaggi: si tratta di una metodologia non distruttiva, poco invasiva, di basso costo, che permette di ottenere risultati in tempi relativamente rapidi.
Qual è stato il suo percorso accademico?
Laurea in lettere indirizzo archeologico a Roma Sapienza, Dottorato all’University College London, Marie Curie IntraEuropean Fellowship a Barcellona, Università Pompeu Fabra (UPF) dove poi sono rimasto.
Perché non ha scelto di realizzare il suo progetto in una istituzione di ricerca italiana?
Ho lasciato l’Italia nel 2014. Qui alla UPF ho trovato colleghi capaci, un eccellente servizio di supporto alla ricerca, strutture all’avanguardia e un ambiente sereno. In generale, trovo che la Spagna offra più possibilità per la ricerca che l’Italia.
Quali sono i prossimi obiettivi della sua attività di ricerca?
Adesso mi concentrerò sul progetto, e mi dedicherò a tempo pieno allo sviluppo di questa nuova metodologia per studiare i siti archeologici pastorali.(30Science.com)