(30Science.com) – Roma, 02 dic. – Sappiamo qualcosa di più sui gioielli che ornavano il corpo delle splendide principesse troiane e di quelle di altre città famose nell’antichità come Ur. Un gruppo di ricercatori ha deciso infatti di analizzare nel dettaglio la composizione dell’oro con cui questi monili sono stati realizzati cercando così di tracciarne la provenienza. Tra i tesori analizzati c’è anche quello di Priamo, il leggendario Re di Troia. Tra i ricercatori che hanno lavorato a questo progetto, c’è anche Massimo Cultraro, dell’Istituto di Scienze per il Patrimonio del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISPC-CNR). Lo abbiamo raggiunto, mentre viaggiava tra una missione e l’altra nel Mediterraneo
Cosa avete scoperto con questo lavoro sui gioielli di Troia e di Ur?
L’ampia ricerca interdisciplinare, che ha coinvolto chimici, fisici e archeologi sotto la guida del Curt-Engelhorn-Centre Archaeometry (CEZA) di Mannheim, uno tra i più importanti laboratori nel campo delle scienze dure applicate allo studio del mondo antico, aveva due obiettivi. Il primo era quello di prendere in esame il noto “Tesoro di Priamo”, scoperto da Henrich Schliemann a Troia/Hissarlik nl 1873, e confrontarlo con un ripostiglio di gioielli, gemello del primo, scoperto nell’abitato dell’antica età del Bronzo a Poliochni, nell’isola di Lemnos. Quest’ultimo sito è uno dei fiori all’occhiello delle missioni archeologiche italiane all’estero, scoperto nel 1930 e oggetto di continui interventi da parte della Scuola Archeologica Italiana di Atene. La mia presenza nel team del CEZA, infatti, si lega al fatto che io sia membro della Scuola e lavoro a Poliochni dal 1993, occupandomi di attività di scavo ed edizione dei vecchi contesti. Il secondo obiettivo è orientato a definire la fonte o l fonti di origine dell’oro per entrambi i ripostigli, che come è noto è un minerale assai raro in Grecia. In termini di processi storici, l’acquisizione di queste informazioni avrebbe offerto l’opportunità di ricostruire forme e tecnologie dell’artigianato orafo dell’Egeo del III millennio a.C.
Siete riusciti a capire da dove arrivava l’oro, dove erano i giacimenti?
Il primo importante risultato è che a Troia e a Poliochni gli orafi impiegavano oro proveniente da depositi alluvionali, ovvero minerale proveniente dalla disgregazione di rocce trasportate dalle acque di fiumi”. Il secondo risultato, sul piano archeometrico, geologico e mineralogico è che abbiamo scoperto che la fonte per i due depositi è la medesima e la stessa sorgente è stata impiegata anche per realizzare i gioielli di due importanti città del Vicino Oriente, Ebla e Ur. La prima (in Siria), come è noto, è un altro importante scavo di una missione italiana”. Infine, nel caso di Poliochni e Troia, all’originaria fonte che ad oggi resta sconosciuta, ma da ricercare certamente in area mesopotamica, si aggiunge una seconda sorgente indiziata dalla presenza di un basso contenuto di platino. Queste caratteristiche compositive sono compatibili con le sorgenti di oro identificate in Georgia e in Armenia, cioè nel Caucaso.
Come erano le miniere d’oro nell’età del bronzo?
Un interessante esempio di miniera è quella identificata nel distretto di Sakdrisi (Georgia sud-orientale), oggetto di esplorazioni sistematiche di una missione georgiano-tedesca fin dal 2002. I filoni aurei venivano raggiunti attraverso l’apertura di strette gallerie che scendono fino a 25 m. dal suolo. Le datazioni al C14 confermano che lo sfruttamento del giacimento aurifero di Sakdrisi risale alla seconda metà del III millennio a.C (2500-2200 a.C.), estendendosi fino ad epoche più recenti. Alla fase dell’età del Bronzo sono state assegnate asce in pietra e mazzuoli, che rappresentavano lo strumentario usato dai minatori, insieme a stoviglie in terracotta legate alla vita degli operai. La presenza, inoltre, di tracce di attività fusoria lascia intuire che la prima sbozzatura e lavorazione del minerale, appena estratto, avvenisse, in loco.
Che tipo di relazioni intercorrevano tra i popoli di quel periodo storico?
Sono noti, fin dai primi scavi a Troia, i rapporti tra l’Egeo e il Mediterraneo orientale nel corso dell’età del Bronzo. Il numero di materiali, ceramici, in metallo e in pietre preziose, provenienti dalla Mesopotamia è notevolmente cresciuto e oggi possiamo concludere che il mondo anatolico, con le isole di fronte alla costa troiana (Lemnos, Imbros, Samos, Chios), fosse il maggiore destinatario di questi prodotti. Sono manufatti di lusso destinati all’élites locali che si autorappresentavano con gioielli realizzati da artigiani anatolici ma con oro e argento importato. Schliemann aveva anche trovato alcune asce da parata in lapislazzuli di importazione dall’area centro-asiatica. Siamo nel periodo in cui commercianti mesopotamici aprono vie carovaniere lungo la costa meridionale dell’Anatolia e attraverso gli altopiani dell’entroterra. Restano oscure le ragioni di questo rapido rafforzamento delle relazioni internazionali tra le due aree, ma certamente la formazione dell’impero di Akkad, sotto il suo fondatore, Sargon I il Grande, e la conseguente apertura verso i porti della costa siro-palestinese, ha certamente favorito tale processo di interazione.
Ci sono reperti anche in Italia da considerare?
Un progetto parallelo a quello del CEZA è attivo anche in Italia, sotto la direzione mia e del collega Paolo Romano del CNR-ISPC, referente per la parte archeometrica. Stiamo lavorando alla determinazione dell’origine e caratterizzazione su base isotopica dell’oro e dell’argento impiegato nella Sicilia prima dell’arrivo dei Greci, all’incirca tra 1300 e 750 a.C. Uno degli stereotipi, ancora oggi imperanti nel campo dell’archeologia nazionale, è che siano stati i coloni greci ad aver introdotto l’artigianato su metallo prezioso, oro e argento. Oggi possiamo sostenere con certezza che manufatti in oro e in argento circolavano in Sicilia e, più in generale nel Mediterraneo occidentale, fin dal 1600 a.C., probabilmente frutto dei contatti con la più antica marineria egeo-micenea. Anche in questo caso alle indagini chimico-fisiche sui metalli conservati in varie collezioni siciliane si associa l’indagine su documenti d’archivio, che riferiscono della riapertura di miniere d’argento in Sicilia durante l’occupazione araba. Non si esclude che molte di queste miniere, che andrebbero ricercate nel distretto peloritano di Messina, siano state in uso fin dal periodo greco.
Quali sono i prossimi obiettivi della sua attività di ricerca?
Sul laboratorio Sicilia ho già detto. Sul versante egeo, invece sto portando avanti due progetti complementari. Il primo riguarda lo studio e revisione di altri manufatti in oro trovati a Poliochni nel corso degli scavi italiani, che confermano a ricchezza e circolazione di manufatti preziosi, anche di origine orientale, nell’Egeo dell’antica età del Bronzo. Il secondo progetto si inserisce nelle ricerche che dal 2015 conduco nel Caucaso, dove sono il responsabile di un accordo bilaterale italo-georgiano tra Consiglio Nazionale delle Ricerche e Shota Roustaveli Foundation di Tbilisi. Nel 2023 torneremo in Georgia, con un progetto appena finanziato, e l’obiettivo, anche alla luce dei risultati del progetto con i tedeschi del Ceza, sarà quello di indagare più attentamente il distretto minerario di Sakdrisi per ricostruire l’organizzazione del lavoro, la catena estrattiva e i modi di produzione dell’oro caucasico nell’età del Bronzo.(30Science.com)