Roma – Sono in totale 67 i feriti della guerra in Ucraina trattati con successo con un nuovo protocollo di cura, che prevede prima una valutazione delle lesioni e poi la somministrazione di tre tipi diversi di stimolazione per favorire la rigenerazione dei tessuti. I risultati hanno superato le attese: grazie alla metodologia Biodermogenesi tutti i pazienti hanno beneficiato di un miglioramento funzionale in media pari al 75% e di un miglioramento dell’aspetto estetico, nella percezione dei pazienti, di circa il 50%. In pratica, le vittime sono riuscite a recuperare la funzionalità di mani, braccia, bocca e così via, compromesse da ferite e ustioni. A fare il punto sui risultati del progetto “Mission to Kiev”, nato poco più di un anno fa per offrire un percorso terapeutico ai feriti di guerra ucraini, è stato Yehor Kolodchenko, presidente dell’Association of Laser Medicine and Cosmetology di Kiev, in occasione del congresso della Società italiana di medicina estetica a Roma. Il lavoro va a colmare una lacuna nella letteratura scientifica relativa alle cicatrici di guerra. Esistono infatti solo 18 studi pubblicati sull’argomento, prevalentemente dedicati alla chirurgia maxillofacciale e ad alcuni dati statistici che indicano agli eserciti dopo quanto tempo possono richiamare al combattimento i feriti. Dai pochi studi esistenti, sappiamo che le principali ferite sono da ustione, conseguenza del fatto che l’aria intorno alle esplosioni diventa rovente per un raggio di decine di metri e tutti coloro che vengono coinvolti da tali onde d’urto termiche sono esposti a lesioni a mani, volto e collo, ovvero le parti generalmente non coperte dall’abbigliamento. Mission to Kiev è nato da un’idea di Maurizio Busoni, professore presso il Master di Medicina Estetica delle Università di Barcellona e Camerino, e si avvale del Patrocinio dell’Università di Verona. L’iniziativa ha beneficiato dell’esperienza accumulata con il progetto RigeneraDerma, nato per curare gratuitamente le cicatrici delle donne vittime di violenza grazie all’utilizzo della metodologia Biodermogenesi. A differenza delle altre tecnologie che determinano un danno iniziale destinato a stimolare la riparazione tissutale, la nuova metodologia agisce favorendo direttamente la rigenerazione cutanea erogando tre tipi di stimolazioni (vacuum, campi elettromagnetici ed una leggerissima stimolazione elettrica). In questo modo riesce a riattivare il circolo cutaneo, favorendo il recupero del normale calibro dei capillari, con conseguente ossigenazione del tessuto. Contemporaneamente i campi elettromagnetici favoriscono la formazione di nuove fibre elastiche e di collagene che permettono di rimodellare il tessuto cutaneo, avvicinandolo alla sua forma migliore. L’esperienza accumulato con le donne vittime di violenza, ha permesso di sviluppare dei protocolli terapeutici per le cicatrici di guerra, generalmente più complesse rispetto a lesioni simili maturate in ambiente civile. Questo a causa dei composti chimici abbinati ai proiettili e agli esplosivi destinati ad aggredire la pelle in un secondo tempo, causando ulteriori lesioni di estrema gravità. Per capire la portata di tali danni progressivi è sufficiente sapere che molto spesso gli amputati di guerra devono subire una seconda amputazione sul tessuto che si riteneva sano nel corso del primo intervento chirurgico. “Nonostante la storia dell’umanità sia scandita dalle guerre, sino ad oggi nessuno si è preoccupato di curare le cicatrici dei feriti sopravvissuti”, sottolinea Busoni. “Attualmente non esiste un protocollo terapeutico convalidato, né una scala di valutazione del danno determinato da tali cicatrici. Pertanto – continua – siamo partiti dallo studio delle cicatrici di guerra e delle loro conseguenze, quali ad esempio dermatiti gravi e talvolta croniche o devastanti forme di tumore cutaneo, come le ulcere di Marjolin, che si possono manifestare anche 30 anni dopo la ferita. Questo ha permesso di sviluppare una scala di valutazione delle cicatrici di guerra che abbiamo denominato POWASAS – Patient and Observer WAr Scar Assessment Scale, che è stata adottata per Mission to Kiev e ha permesso di determinare la gravità delle lesioni e successivamente di valutare i miglioramenti apportati”. La scala POWASAS è stata sviluppata da Maurizio Busoni e dalr Yehor Kolodchenko, che ne ha validato i contenuti sulla base delle proprie esperienze maturate nella cura delle cicatrici di guerra nel corso degli ultimi 14 mesi. Tale scala di valutazione offre, quindi, una chiave di lettura effettiva dei livelli di complicazione delle cicatrici di guerra e sarà destinata ad una pubblicazione su una rivista scientifica ad elevato impact factor. I risultati ottenuti sulle cicatrici di guerra saranno oggetto di una specifica pubblicazione, che permetterà di condividere il protocollo terapeutico a favore di feriti coinvolti in conflitti locali che continuano a causare vittime. “Come medico, apprezzo molto il trattamento delle cicatrici con Biodermogenesi nei nostri pazienti che hanno subito ustioni e lesioni da esplosione e da combattimento, poiché è completamente indolore, non traumatico e non invasivo” afferma Kolodchenko. “È privo di tempi morti e migliora davvero la condizione della pelle, riduce le contratture senza effetti collaterali – prosegue – o restrizioni dei pazienti, a differenza delle diffuse tecniche di ablazione laser. Inoltre, al momento, mancano pubblicazioni sul trattamento delle cicatrici di guerra con Energy Based Device”. Un motivo in più per portare avanti il progetto. “Realizzare per primi un protocollo terapeutico per le cicatrici di guerra – racconta Busoni – era una sfida che mi ha reso difficile dormire, sia per la difficoltà di tali cicatrici, sia perché non volevo illudere i pazienti, già provati dalla vita, di poter ottenere dei miglioramenti che non si sarebbero poi realizzati. Oggi sappiamo che anche le componenti chimiche che rendono così complesse queste cicatrici possono essere gestite con successo e che possiamo veramente contribuire a migliorare la qualità della vita di tante persone, al momento in Ucraina ma in futuro anche negli altri teatri di guerra purtroppo presenti in tanti Paesi del mondo. Il rapporto di OHCHR del 31 dicembre 2024 parlava di 1.833 bambini rimasti feriti in Ucraina. Sapere che oggi possiamo aiutarli a ritrovare il sorriso è la più grande soddisfazione per coloro che lavorano nell’ambito della medicina”. (30Science.com)

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