Gianmarco Pondrano d'Altavilla

Ridurre l’allevamento del bestiame non è sufficiente per ripristinare i terreni degradati

(11 Aprile 2025)

Roma – Ridurre l’allevamento di bovini in una zona connotata da un suolo degradato non è sufficiente a ripristinare la piena salute del suolo in questione. E’ quanto emerge da uno studio guidato dall’Università di São Paulo, e pubblicato sul Journal of Environmental Management. I ricercatori hanno concentrato la loro attenzione su un’area della regione di Pernambuco in Brasile dove si estende la Caatinga la maggiore foresta secca del Sud America e una delle più ricche del mondo in termini di biodiversità. Nel tempo ampie parti di questo bioma sono state devastate dalla destinazione di uso per il pascolo di bovini con conseguente riduzione della disponibilità di azoto, carbonio, biomassa microbica e proteine glomaliniche. Sfortunatamente la rimozione in alcune aree delle attività di pascolo non è stato sufficiente anche dopo tre anni a portare a un significativo recupero della salute del suolo. “Abbiamo confrontato i suoli dei tre tipi di copertura più comuni nella regione – afferma Wanderlei Bieluczyk , primo autore dello studio – foreste dense preservate, foreste aperte che si rigenerano dopo la deforestazione e il pascolo prolungato e pascoli con una storia di decenni di sovrapascolo. Lo studio ha dimostrato che il sovrapascolo compatta il suolo e riduce la disponibilità di azoto, carbonio, biomassa microbica e proteine glomaliniche, influenzando le funzioni fisiche, chimiche e biologiche essenziali. Abbiamo anche scoperto che la rimozione degli animali da queste aree non ha portato miglioramenti significativi, anche dopo tre anni di recupero spontaneo del suolo”. Per riuscire a compensare i danni portati dagli allevamenti i ricercatori ritengono che saranno necessari ulteriori interventi come il sovescio o la piantumazione mirata di alberi. Il sovescio è la pratica di seminare o piantare piante note come sovesci per migliorare la fertilità e la struttura del suolo. Questa tecnica è stata utilizzata con successo, ad esempio, nel ripristino forestale del bioma della Foresta Pluviale Atlantica. Le piante, solitamente composte da leguminose o graminacee, contribuiscono con la biomassa alla fissazione dell’azoto, al riciclo dei nutrienti e alla protezione del suolo. Una volta raggiunto un certo stadio di sviluppo, possono essere tagliate e incorporate nel terreno o lasciate invecchiare naturalmente all’ombra delle chiome degli alberi in rigenerazione. In questo modo, il terreno è protetto dall’erosione, trattiene più umidità e riceve un apporto graduale di nutrienti man mano che la biomassa si decompone. La piantumazione mirata di alberi prevede, invece, la piantumazione di alberi a crescita rapida, capaci di formare una fitta chioma in breve tempo. In questo modo, il terreno viene protetto dall’eccessiva luce solare e si crea gradualmente un “ambiente forestale” sotto la chioma, favorendo la germinazione e lo sviluppo di diverse specie rigenerative in questo ambiente ora più favorevole. I ricercatori concludono con l’esprimere l’auspicio che le autorità e le parti coinvolte intervengano quanto prima così da poter far sopravvivere il bioma unico della Caatinga. (30Science.com)

Gianmarco Pondrano d'Altavilla