Roma – Tra i metodi utilizzati per ridurre le emissioni a livello globale, la riforestazione di ambienti disboscati è il più efficiente per la salvaguardia della biodiversità. È quanto emerge da un nuovo studio guidato dalla Princeton University, e pubblicato su Science. Molti piani sviluppati dalle aziende e dai governi per mitigare le proprie emissioni di carbonio prevedono strategie che si incentrano sulla piantumazione di nuove piante. Gli approcci più comuni sono la riforestazione (ripristino delle foreste in luoghi dove sorgevano storicamente ma che sono stati disboscati), l’afforestazione (aggiunta di foreste in luoghi come savane e praterie) e la coltivazione di bioenergia (coltivazione di piante come il panico verga per l’energia rinnovabile). Finora, è stato difficile prevedere gli impatti di queste strategie sulla biodiversità perché influenzano le specie in modi molteplici e complessi.

Un nuovo studio ha scoperto che, tra le tre strategie di mitigazione del clima su larga scala basate sulle piante, la riforestazione si distingue come la più benefica per la biodiversità. Oltre alla riforestazione (ripristino delle foreste nei luoghi in cui sono cresciute storicamente), il team di scienziati ha modellato gli impatti dell’afforestazione (aggiunta di foreste in luoghi come praterie e savane) e delle colture bioenergetiche (coltivazione di piante come il panico verga per l’energia rinnovabile) su oltre 14.000 specie animali.
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Il nuovo studio è il primo del suo genere a valutare i potenziali impatti sulla biodiversità di queste tre strategie di mitigazione del cambiamento climatico a livello globale. Il team di scienziati, ha modellato l’impatto di queste strategie di mitigazione su oltre 14.000 specie animali, da creature più piccole di un topo a più grandi di un alce. È stato scoperto che la riforestazione porterà benefici a molte specie sia a livello locale, aumentandone l’habitat, sia a livello globale, mitigando il cambiamento climatico. Tra queste, molte specie forestali iconiche, dalle salamandre maculate e i picchi dal ventre rosso ai giaguari. I risultati per la piantumazione di monocolture di colture bioenergetiche o la conversione di savane e praterie naturali in foreste non sono così rosei. Mentre questi sforzi possono aiutare ad affrontare il cambiamento climatico e ridurre le minacce climatiche alla biodiversità, porteranno anche a un’immediata perdita di habitat. Sostituire i prati ricchi di biodiversità con colture bioenergetiche sarebbe estremamente dannoso per specie che vanno dal fagiano all’alce. Allo stesso modo, convertire le savane in foreste porterebbe al declino di specie iconiche come struzzi e leoni. Lo studio ha scoperto che la perdita di habitat dovuta all’afforestazione e alla bioenergia sarebbe di gran lunga maggiore del beneficio che fornirebbero alla biodiversità aiutando a mitigare il cambiamento climatico a livello globale. “La riforestazione – hanno affermato gli autori – è una strategia ‘win-win’ . Il ripristino delle foreste perdute fornisce habitat alla biodiversità e riduce gli impatti del cambiamento climatico”. (30Science.com)