Roma – “Il Pianeta Terra ha già sperimentato episodi di surriscaldamento e eccesso di CO2 atmosferica, anche più estremi rispetto a quelli in corso. Negli ultimi 350 milioni anni, questo si è verificato ad esempio 190, 120 e 90 milioni di anni fa. Ma attenzione perchè quella trasformazione avvenne in 30.000 anni. Oggi sta invece avvenendo in 100 – 150 anni”. Lo ha spiegato Elisabetta Erba, Geologa e Paleontologa di fama internazionale – Docente dell’Università di Milano al Congresso Nazionale Congiunto della Società Geologica Italiana e della Società Italiana di Mineralogia e Petrologia, a Bari.
“Se vogliamo comprendere quello che sta davvero succedendo in termini di cambiamento climatico e soprattutto quali sono gli effetti sugli oceani – ha detto Erba – abbiamo tanti esempi nel passaggio geologico di cambiamenti ambientali del tutto simili che si sono già verificati. Quindi le mie ricerche sono state dedicate ad alcuni di questi esempi di riscaldamento globale, di eccesso di CO2 e quale è stata la risposta degli organismi ed in particolare del fitoplancton marino. Quello che sistematicamente si vede è che non c’è una perdita di biodiversità, non ci sono estinzioni ma queste alghe che studio nelle rocce marine hanno avuto molte difficoltà a calcificare perchè gli oceani erano diventati acidi. Però se globamente possiamo dire che l’Oceano è stato resiliente, non possiamo stare tranquilli perchè il cambiamento che noi vediamo negli dtrati delle rocce hanno avuto dei tempi di trasformazione estremamente lunghi, nell’ordine delle decine di migliaia di anni e quindi gli organismi hanno avuto modo e tempo di adattarsi al cambiamento climatico. Oggi, invece è tutto accelerato. Quello che in passato è successo in 30.000 anni, oggi sta accadendo in 100 anni”.
“Lo studio delle alghe coccolitofore mesozoiche fossili – ha aggiunto Erba – ha permesso di: comprenderne e quantificarne i processi evolutivi in relazione a cambiamenti ambientali anche estremi, oppure a periodi di stasi o con stress ambientali di piccola entità, misurarne la resilienza, identificando i valori soglia (ad esempio di paleo-temperatura e paleo-CO2) che hanno determinato loro crisi temporanee o permanenti – ha continuato Elisabetta Erba – misurare i tempi di reazione ai cambiamenti climatico-ambientali traendo informazioni cruciali per comprendere le possibilità e le velocità di adattamento. Gli studi geologico-micropaleontologici condotti sui nannofossili ci mettono in guardia sulla possibilità di raggiungere valori-soglia delle forzanti climatico-ambientali, che potrebbero indurre divergenze irreversibili rispetto alle recenti condizioni di equilibrio. La preoccupazione maggiore riguarda la velocità di adattamento del Sistema Terra in tempi brevissimi, ordini di grandezza più rapidi rispetto a quelli verificatisi (con successo) in natura nel passato lontano. Questa differenza potrebbe risultare fatale per molti ecosistemi. La storia del Mesozoico (l’Era dei Dinosauri) delle alghe coccolitoforidi inizia e termina con due grandi estinzioni di massa ed è stata contrassegnata da una serie di crisi e di speciazioni. Le alghe coccolitoforidi dominavano già gli oceani e i nannofossili calcarei analizzati nelle successioni marine che si sono lentamente depositate sui fondali ci raccontano che ineluttabilmente gli oceani sempre più caldi e acidi (a causa dell’aumento della CO2) si sono anche impoveriti di ossigeno perturbando le diverse nicchie ecologiche e diventando inospitali per molti organismi.
Dai grandi cambiamenti climatici alla scala microscopica: i nannofossili calcarei ci offrono risposte preziose per il nostro futuro, in particolare le alghe coccolitoforidi. Si tratta di alghe unicellulari marine di dimensioni comprese tra 3 e 40 micrometri (1 micron = 1/1000 mm) che fanno parte del fitoplancton e popolano la zona fotica di tutti gli oceani dalle zone costiere all’oceano aperto, dalle latitudini equatoriali a quelle subpolari. Secernono, all’interno della cellula, piastrine calcitiche (coccoliti) di differente forma e dimensione, diagnostiche per il riconoscimento delle specie che poi si dispongono sulla superficie della cellula a costituire un guscio chiamato coccosfera. Dopo la morte, le coccosfere iniziano a cadere verso il fondale dove si accumulano a produrre i sedimenti carbonatici più diffusi negli oceani. Questi processi sono iniziati circa 240 milioni di anni fa (Triassico) e la deposizione di sedimenti oceanici calcarei a nannofossili (coccoliti e coccosfere fossili) è il processo dominante negli oceani da almeno 180 milioni di anni fa (Giurassico). Nella loro lunga storia, le varie specie di alghe coccolitoforidi hanno dimostrato affinità/preferenze ecologiche differenziate ad esempio per acque calde, temperate o fredde. L’abbondanza e la biodiversità dei nannofossili calcarei permettono, dunque, di ricostruire le variazioni della temperatura delle acque marine superficiali (che sistematicamente rispecchiano le variazioni dell’atmosfera) ma anche i cambiamenti interconnessi di salinità, torbidità, disponibilità di nutrienti, il chimismo degli oceani che determinano la dinamica dell’ecosistema oceanico. Il Pianeta Terra ha già sperimentato episodi di surriscaldamento e eccesso di CO2 atmosferica, anche più estremi rispetto a quelli in corso. Negli ultimi 350 milioni anni, questo si è verificato ad esempio 190, 120 e 90 milioni di anni fa”.
“Attualmente, la temperatura media globale è aumentata di 1-1,5°C rispetto ai tempi preindustriali, la concentrazione di CO2 atmosferica è salita da 280 parti per milione (ppm) a circa 420 ppm. Le proiezioni future indicano che, se continuiamo ad introdurre CO2 nell’atmosfera al ritmo degli ultimi 50 anni, potremo assistere a un ulteriore innalzamento delle temperature, con un aumento previsto fino a + 5°C entro la fine di questo secolo – ha concluso Elisabetta Erba – e la concentrazione di CO2 atmosferica potrebbe raddoppiare. Tra le principali preoccupazioni rientra la perdita di specie, con la possibilità che molti organismi non riescano ad adattarsi ad un clima surriscaldato, con estinzioni previste che potrebbero interessare fino al 10-20% della biodiversità attuale.
La biosfera marina, la più complessa e numerosa del Pianeta, è estremamente sensibile ai cambiamenti ambientali in atto. Comprendere come questi cambiamenti influenzano l’ecosistema marino è fondamentale per capire la dinamica oceanica e di tutto il Sistema Terra.
Se vogliamo comprendere i complessi processi del sistema climatico, i cambiamenti globali e quantificare la co-evoluzione dell’atmosfera, del clima e della biosfera è indispensabile analizzare serie di dati molto lunghi per formulare scenari a lungo termine. L’oceano è l’ecosistema più antico e più grande del nostro Pianeta e i sedimenti oceanici, hanno continuativamente registrato le variazioni del clima, per periodi anche di molti milioni di anni, prima della comparsa dell’uomo. La biosfera marina si è evoluta (adattandosi o soccombendo) in intima relazione con le variazioni di temperatura, di composizione chimica e disponibilità di sostanze nutrienti negli oceani. La complessa catena trofica marina si basa sull’abbondanza e il tipo di fitoplancton distribuito nella zona fotica (80-200 metri di profondità). Il Congresso “Geology for a sustainable management of our Planet”, voluto dalla Società Geologica Italiana (SGI) e dalla Società Italiana di Mineralogia e Petrologia (SIMP), sarà incentrato sul ruolo fondamentale delle Geoscienze per l’avanzamento della conoscenza dei cambiamenti globali in atto e la loro evoluzione nel futuro a breve, medio e lungo termine, nonché per contribuire a informare la cittadinanza dei limiti delle risorse del pianeta e dei rischi naturali”.(30Science.com)