Roma – Negli ultimi quarant’anni, sono stati registrati 5.355 casi di cetacei spiaggiati lungo le coste italiane: circa 1 caso su 8 mostra segni di interazioni con attività di pesca, un fattore che si configura come una minaccia significativa per queste popolazioni marine. Lo rivela uno studio dell’Università di Padova, riportato su PLOS One. Le specie più colpite da queste interazioni risultano essere i delfini tursiopi, Tursiops truncatus, e le stenelle, Stenella coeruleoalba. In particolare, i maschi adulti di tursiopi nell’Adriatico sembrano più vulnerabili all’intrappolamento nelle reti da posta, un tipo di attrezzo da pesca. Gli strumenti di indagine sono migliorati nel tempo, passando da protocolli non standardizzati negli anni ’80 a sistemi diagnostici altamente specializzati e integrati supportati dal progetto europeo LIFE DELFI. Questo ha permesso di ottenere dati più affidabili e rappresentativi del fenomeno, evidenziando anche l’importanza di condurre indagini post-mortem approfondite per mostrare i rischi specifici e individuare le “aree calde” di rischio per i cetacei. L’importanza di questa ricerca risiede nell’aiutare a sviluppare strategie di mitigazione mirate, su base regionale e specifica per specie, al fine di ridurre il rischio di catture accidentali e proteggere meglio i cetacei. Inoltre, questi dati aiutano a stabilire limiti di tolleranza per garantire la conservazione a lungo termine di queste specie nell’ecosistema marino italiano. In conclusione, il monitoraggio sistematico e prolungato nel tempo degli spiaggiamenti, insieme a una valutazione rigorosa delle interazioni con la pesca, rappresenta uno strumento strategico fondamentale per la tutela di questi importanti mammiferi marini. (30Science.com)