Roma – Sviluppato un nuovo metodo per l’estrazione e l’identificazione di proteine da tessuti molli antichi, aprendo nuove prospettive nello studio della paleobiologia umana. A farlo un gruppo di ricercatori dell’Università di Oxford, guidato da Alexandra Morton-Hayward. Lo studio, riportato sulla rivista PLOS ONE, rappresenta il primo protocollo affidabile per analizzare le proteine conservate in organi interni umani risalenti a secoli fa, superando il limite che, fino ad oggi, confinava la paleoproteomica ai soli tessuti mineralizzati come ossa e denti. Il gruppo di ricerca ha lavorato su campioni di cervelli umani risalenti a circa 200 anni fa, provenienti da un cimitero vittoriano di un ospizio per i poveri a Bristol, nel Regno Unito. Il metodo innovativo si basa sull’utilizzo dell’urea, una sostanza in grado di rompere efficacemente le membrane cellulari e liberare le proteine dai tessuti molli fossilizzati. Dopo aver testato dieci diverse strategie, l’urea si è dimostrata la più efficace.
- Alexandra Morton-Hayward, antropologa forense e dottoranda presso l’Università di Oxford, mostra le pieghe neurali conservate di un cervello di 1.000 anni fa. (Credito immagine: Graham Poulter). Credito Graham Poulter.
- Alexandra Morton-Hayward, antropologa forense e dottoranda presso l’Università di Oxford, mostra i due emisferi cerebellari di un cervello di 200 anni, conservati in formalina. (Credito immagine: Graham Poulter). Credito Graham Poulter.
- Emisfero cerebrale sinistro di un uomo adulto sepolto nel sito dell’ex Blackberry Hill Hospital (Bristol, Regno Unito). La superficie delle circonvoluzioni visibili del cervello è macchiata di rosso con ossidi di ferro. (Credito immagine: Alexandra Morton-Hayward). Credito Alexandra Morton-Hayward
- Autori dello studio (da sinistra a destra: Dott.ssa Sarah Flannery, Alexandra Morton-Hayward, Prof. Roman Fischer e Dott.ssa Iolanda Vendrell) presso il Laboratorio di Spettrometria di Massa del Centre for Medicines Discovery, Dipartimento di Medicina Nuffield, Università di Oxford. (Credito immagine: Roman Fischer). Credito Roman Fischer.
Le proteine estratte sono state poi separate tramite cromatografia liquida e identificate mediante spettrometria di massa. L’innovazione chiave è stata l’integrazione di questa tecnica con la spettrometria di mobilità ionica a forma d’onda asimmetrica ad alto campo, che ha permesso di aumentare del 40% il numero di proteine identificate rispetto ai metodi tradizionali. Con questa combinazione di tecniche, la squadra di ricerca ha identificato oltre 1.200 proteine antiche da soli 2,5 mg di campione cerebrale, ottenendo il più ampio e diversificato paleoproteoma mai riportato da materiale archeologico umano. Tra queste, sono state riconosciute molte proteine coinvolte nel funzionamento cerebrale e potenziali biomarcatori di malattie neurologiche come Alzheimer e sclerosi multipla. Questo risultato è particolarmente rilevante perché la maggior parte delle patologie umane, soprattutto quelle neurologiche e psichiatriche, non lascia tracce sulle ossa e quindi è invisibile alla documentazione archeologica tradizionale. “La nuova tecnica permette di aprire una finestra sulla storia umana mai esplorata prima, consentendo di indagare aspetti della salute, della dieta, delle malattie e dell’ambiente vissuto dagli individui del passato”, ha detto Morton-Hayward. “Poiché solo il 10% delle proteine umane è espresso nelle ossa, contro il 75% negli organi interni, questa metodologia amplia enormemente il potenziale informativo delle analisi archeologiche”, ha continuato Morton-Hayward. “Il nuovo protocollo consente di studiare la patologia oltre lo scheletro, trasformando la comprensione della salute delle popolazioni antiche”, ha aggiunto Roman Fischer, del Centre for Medicines Discovery dell’Università di Oxford. “Il metodo ha già suscitato interesse per la sua applicabilità a una vasta gamma di materiali archeologici, dai resti mummificati ai corpi di palude, e per l’analisi di biomolecole come anticorpi e ormoni peptidici”, ha spiegato Fischer. Lo studio segna un passo fondamentale nella paleoproteomica, fornendo un protocollo robusto per l’analisi delle proteine nei tessuti molli antichi e aprendo nuove strade per la ricerca sulle popolazioni umane del passato. “Questo tipo di lavoro sperimentale fondamentale è essenziale per il progresso del settore”, ha commentato Christiana Scheib dell’Università di Cambridge, non coinvolta nello studio.(30Science.com)