Roma – Una variazione genetica nel batterio Yersinia pestis, agente causale della peste bubbonica, ha contribuito a prolungare la durata delle prime due grandi pandemie di peste nella storia umana. A scoprirlo uno studio condotto da un gruppo internazionale di ricercatori dell’Istituto Pasteur e della McMaster University, riportato sulla rivista Science. In particolare, è stata osservata una diminuzione del numero di copie del gene di virulenza pla, che codifica per un fattore chiave nella capacità del batterio di raggiungere e moltiplicarsi nei linfonodi, prima di diffondersi sistemicamente nell’ospite.

L’autore principale Ravneet Sidhu esamina un antico dente umano al McMaster Ancient DNA Centre.
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Università McMaster
Analizzando centinaia di campioni di vittime antiche della peste, i ricercatori hanno evidenziato che nelle fasi avanzate sia della prima pandemia, nel VI secolo, peste di Giustiniano, sia della seconda, tra il XIV e il XVIII secolo, inclusa la Peste Nera, il numero di copie del gene pla diminuiva progressivamente. Questa riduzione ha portato a una virulenza inferiore del batterio, con una mortalità ridotta del 20% nei modelli murini e una durata più lunga dell’infezione negli ospiti infetti, che quindi vivevano più a lungo prima di morire. Questa modifica genetica sembra aver rappresentato un vantaggio selettivo in ambienti con bassa densità di popolazione, dove il tempo di trasmissione da un individuo all’altro era più lungo. I roditori infettati da ceppi con meno copie di pla potevano diffondere l’infezione su distanze maggiori, prolungando così la persistenza del patogeno nelle popolazioni. Tuttavia, questa riduzione della virulenza ha probabilmente contribuito anche all’esaurimento delle pandemie, poiché i ceppi meno virulenti si sono estinti nel tempo.

Macrofagi infettati da Yersinia pestis
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© Josué Barquero & Anne Derbise, Unité Yersinia, Istituto Pasteur (2024)
Lo studio ha inoltre identificato tre ceppi contemporanei della terza pandemia di peste, tra il XIX e il XX secolo, conservati presso l’istituto Pasteur, che presentavano la stessa deplezione del gene pla, confermando che questa evoluzione si è verificata in modo indipendente in ciascuna delle grandi pandemie storiche. Nonostante ciò, la maggior parte dei ceppi di Y. pestis ancora circolanti oggi, soprattutto in Africa, Sud America e Asia, rimangono altamente virulenti, responsabili di focolai endemici con potenziale letale. Gli autori sottolineano come questa ricerca rappresenti uno dei primi studi a collegare direttamente l’evoluzione genetica di un patogeno antico con la dinamica di diffusione, virulenza e scomparsa delle pandemie, offrendo un modello per comprendere l’equilibrio di virulenza che consente a un agente patogeno di diffondersi efficacemente tra gli ospiti. (30Science.com)