Roma – Molti dei pesci che mangiamo svolgono un ruolo fondamentale nel mantenimento dei fondali marini e, di conseguenza, del nostro clima. Questo, in estrema sintesi, è quanto emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista Marine Environmental Research, condotto dagli scienziati del Convex Seascape Survey e dell’Università di Exeter. Il team, guidato da Mara Fischer e Callum Roberts, ha valutato il ruolo dei pesci nella bioturbazione, il rimescolamento e la rielaborazione dei sedimenti, nei mari poco profondi del Regno Unito. Il merluzzo atlantico, rivelano gli esperti, uno dei più comuni alimenti disponibili nelle friggitorie, è in cima alla lista degli importanti “ingegneri dell’ecosistema”. In totale, gli scienziati hanno scoperto che 185 specie di pesci svolgono un ruolo nella bioturbazione e 120 di queste sono oggetto di pesca commerciale.

merluzzo atlantico
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Alex Mustard
“I sedimenti oceanici – afferma Fischer – costituiscono la più grande riserva di carbonio organico al mondo, quindi ciò che accade sui fondali marini è importante per il nostro clima. La bioturbazione, aggiungono gli autori, è molto importante per il modo in cui i fondali marini assorbono e immagazzinano il carbonio organico, un processo fondamentale in ottica di cambiamento climatico. Ma la bioturbazione è importante anche per i fondali marini e gli ecosistemi oceanici in senso più ampio. “Abbiamo una buona comprensione – sostiene Roberts – del modo in cui gli invertebrati contribuiscono alla bioturbazione globale, ma il nostro lavoro è il primo a considerare i pesci. Abbiamo scoperto che le specie con i maggiori impatti sono tra le più vulnerabili alle minacce come la pesca commerciali”. Ad esempio, gli scienziati riportano il caso dell’anguilla europea, una in pericolo critico associata a un punteggio di bioturbazione di 100/125. Anche il merluzzo atlantico, considerato vulnerabile, svolge attività di bioturbazione con lo stesso valore. Sempre in pericolo critico, la razza comune raggiunge invece un punteggio di 50, mentre il sarago, a rischio minimo, contribuisce alla bioturbazione per 36/125. “I pesci – commenta Julie Hawkins, altra firma dell’articolo – scavano costantemente nei fondali marini. È difficile credere che un’attività così ovvia e importante sia stata ampiamente trascurata quando si tratta di comprendere l’immagazzinamento di carbonio negli oceani”.(30Science.com)