Roma – In Italia il 38% delle donne colpite dal tumore della mammella deve affrontare la tossicità finanziaria, cioè le conseguenze economiche determinate dalla malattia e dai trattamenti. Il 32,1% ha ridotto le spese per le attività ricreative (vacanze, ristoranti o spettacoli) e il 10,3% addirittura quelle per beni essenziali, come il cibo. Inoltre, il 20,7% è stato costretto a intaccare fonti di risparmio (es. TFR, investimenti, fondi), proprio per far fronte ai costi sanitari conseguenti alla neoplasia. Sono i dati principali del sondaggio su 585 pazienti con carcinoma mammario, presentato oggi in conferenza stampa a Roma e realizzato da ANDOS (Associazione Nazionale Donne Operate al Seno) e C.R.E.A. Sanità (Centro per la Ricerca Economica Applicata alla Sanità), per indagare nel dettaglio gli effetti collaterali della malattia in termini umani, organizzativi, economici e sociali. Dai risultati emerge che oltre il 70% delle pazienti con tumore del seno sostiene spese private nel percorso di cura soprattutto per farmaci e visite specialistiche, con un costo medio annuo pari a 1.665,8 euro. Il fenomeno coinvolge in particolare le residenti nel Centro e nel Sud e Isole, giovani e con una diagnosi recente. Più in generale la qualità di vita di una paziente colpita da tumore della mammella è peggiore rispetto a quella delle donne della popolazione generale (tra 18 e 74 anni). Il 10,6% soffre (molto o moltissimo) la solitudine e l’isolamento, il 16,2% deve affrontare difficoltà relazionali a causa della malattia, il 23,1% ha timore del giudizio degli altri e il 27% è minato da scarsa autostima. Sono forti le preoccupazioni per il futuro: quasi il 30% teme di rimanere disoccupato a causa della malattia e il 42,9% delle under 40 è condizionato nella decisione di avere figli. Le fonti di sostegno principali sono la famiglia, gli amici e l’associazione di pazienti. L’ambiente lavorativo, costituito da colleghi e datori di lavoro, invece è meno presente e quasi la metà (49,7%) riceve poco o per nulla aiuto da strumenti di welfare aziendale. Inoltre, il 13,2% delle donne, che ha avuto un’occupazione o sta portando avanti un percorso di studi, si è trovato per motivi legati al tumore alla mammella nella condizione di dover cambiare lavoro o percorso; il 27% ha dovuto sviluppare nuove abilità; il 40,5% è stato costretto a ridurre le ore di lavoro. Queste problematiche si sono riscontrate soprattutto nel Sud e Isole. “Questo report – spiega Flori Degrassi, presidente ANDOS – vuole far emergere i bisogni finora inespressi e testimonia la necessità di azioni, anche legislative, volte a migliorare la qualità di vita di queste donne, in un contesto sociale che prevede sempre di più situazioni familiari monogenitoriali”. E aggiunge: “Il supporto psiconcologico è fondamentale, ma solo il 51,5% ha ricevuto questo tipo di aiuto: il 29,6% da parte della struttura sanitaria, mentre il 21,9% ha provveduto privatamente. Il contesto sociale e le relazioni familiari ed amicali svolgono un ruolo di contenimento, la cui efficacia dipende però dalla personalità di ognuna”. Specifica Barbara Polistena, Direttore Scientifico di C.R.E.A. Sanità: “Sono proprio le pazienti giovani e operate da poco ad avere i problemi psicologici più rilevanti. Il 32,2% delle under 40 soffre molto o moltissimo la solitudine e l’isolamento, il 28,6% ha molto o moltissimo timore del giudizio degli altri e il 21,4% dichiara di avere molto o moltissimo disagio relazionale. Inoltre, è interessante rilevare come l’oncologo rappresenti per oltre due terzi delle pazienti la figura di riferimento, seguono il chirurgo (7,7%) e il medico di medicina generale (5,5%). Il chirurgo è più spesso la figura di riferimento per le donne con una diagnosi più recente, invece il medico di famiglia per le più anziane che hanno ricevuto una diagnosi da più tempo. Oltre due terzi delle donne non riscontrano un contatto tra il medico di riferimento e il proprio medico di famiglia. Il basso livello di interazione fra le due figure va migliorato”. Spiega Federico Spandonaro, Professore aggregato all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e Presidente del Comitato Scientifico di C.R.E.A. Sanità: Oltre il 70% delle pazienti ha pagato spese private nel percorso di cura, quota che aumenta in relazione al livello di istruzione. La spesa media annua sostenuta da ogni donna è di 1.665,8 euro: è massima nel Sud e Isole, pari a 4.129,7 euro, e minima nel Nord-Est, con 614 euro, e raggiunge il livello più elevato nelle pazienti tra 41 e 50 anni (3.505,2 euro). Farmaci e visite specialistiche rappresentano più della metà della spesa sostenuta privatamente. In particolare, i farmaci assorbono il 40,8% della spesa privata (con un onere annuo di 502,8 euro), seguono con il 14,7% le visite specialistiche (181,6 euro), i trattamenti di fisioterapia e riabilitazione che incidono per il 10,5% (129,1 euro) e gli esami diagnostici che assorbono il 7,6% (93,6 euro)”. Il 5,7% è attribuibile al pagamento di presidi medici e protesici (70,3 euro), mentre minore incidenza è riferibile ai servizi di assistenza domiciliare a pagamento (0,2%, cioè 1,9 euro). Si registrano, inoltre, altre spese correlate alla patologia, quali cure dentistiche, visite oculistiche e integratori (10,3%, pari a 127,1 euro). “La tossicità finanziaria può interessare anche pazienti assistiti da sistemi sanitari universalistici, come quello italiano – afferma Francesco Perrone, presidente AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). “Il 32,6% delle pazienti – continua – ritiene che le possibilità di cura siano legate alla propria condizione economica, timore che non dovrebbe avere spazio in un sistema universalistico che offre assistenza indipendentemente dal reddito. Il 52,5% però afferma che il Servizio Sanitario Nazionale non copre tutti i costi associati alla malattia”. Anche alcune protesi e ausili importanti per le pazienti rimangono economicamente a loro carico: in particolare parrucche e reggiseno post-operatorio sono stati acquistati rispettivamente dal 39,9% e dal 73,8%. Le uscite a carico delle pazienti riguardano anche le spese di trasporto. Il 36,4% lamenta la lontananza del centro di cura dalla residenza e il 32,1% i costi per raggiungerlo. In media, le donne percorrono 43 km per il tragitto di sola andata per recarsi nella struttura (per 2,3 volte al mese). “Vanno evidenziati anche alcuni aspetti positivi – continua il presidente Perrone -, perché quasi l’80% afferma che il personale sanitario ha agevolato il percorso di cura e l’86,3% riesce ad effettuare gli esami di follow-up nei tempi previsti”. Nonostante la quasi totalità delle pazienti sia esente dalle compartecipazioni, circa il 15% ha ritenuto opportuno dotarsi di copertura aggiuntiva mediante polizze assicurative. “La condizione di paziente – sottolinea Spandonaro – genera, però, varie forme di discriminazione: ad una quota rilevante di donne, pari al 17,6%, non è stata concessa copertura assicurativa e il 12,5% ha riferito di avere subito una limitazione o un diniego totale per l’accesso al credito, ad esempio per il mutuo per l’acquisto della casa”. Al momento dell’insorgenza del tumore, la maggior parte delle donne lavora: il 60,8% di coloro che hanno ricevuto la diagnosi da meno di due anni dichiara di avere una occupazione dipendente o libero professionale. Il 30,6% però è preoccupato di non poter lavorare a causa della malattia. (30Science.com)
Valentina Arcovio
Tumore al seno: la tossicità finanziaria colpisce il 38% delle donne
(31 Marzo 2025)
Valentina Arcovio