Roma – “I dati evidenziano già un indebolimento della circolazione negli ultimi decenni, un fenomeno che, anche senza un arresto totale, basterebbe da solo a generare gravi conseguenze climatiche ed ecologiche”, è quanto ha dichiarato in un post sui social Gianmaria Sannino, a capo della Divisione Modelli, Osservazioni e Scenari per il Cambiamento Climatico e la Qualità dell’Aria dell’ENEA, con riferimento a uno studio guidato da J.A. Baker del Met Office del Regno Unito, e pubblicato su Nature, secondo il quale la circolazione meridionale atlantica (AMOC) potrebbe non subire una completa paralisi a seguito del cambiamento climatico.

Anche in caso di cambiamenti climatici estremi, l’Oceano Antartico mantiene una circolazione atlantica invertita (AMOC) indebolita ma resiliente, una componente essenziale del sistema climatico terrestre.
Credito: ©Jonathan Baker (Met Office) e co-autori, CC BY 4.0
“Per chi non la conoscesse – ha spiegato Sannino – si tratta di un sistema fondamentale dell’Oceano Atlantico che trasporta acque calde verso il Nord e acque fredde e profonde verso sud, svolgendo un ruolo chiave nella regolazione del clima globale. Un suo eventuale arresto potrebbe raffreddare drasticamente l’Europa, alterare le precipitazioni tropicali e compromettere gli equilibri degli ecosistemi marini”. “Secondo questa ricerca – continua Sannino – i venti dell’Oceano Meridionale, favorendo la risalita di acque profonde, potrebbero impedire un collasso completo, anche in scenari climatici estremi. Un risultato che si discosta da precedenti analisi, le quali ipotizzavano una paralisi dell’AMOC entro la fine del secolo, spinta dall’apporto di acqua dolce proveniente dallo scioglimento dei ghiacci groenlandesi e dall’innalzamento delle temperature”. Tuttavia un mancato arresto non vuol dire che la circolazione non si stia indebolendo, il che basta a far temere possibili gravi conseguenze. Tanto più allarmante allora, considerando questa e altre tendenze climatiche negative, l’atteggiamento dell’Amministrazione Trump in materia di ricerca sul clima. “In questo contesto di cambiamento climatico – conclude Sannino – la notizia del licenziamento, da parte dell’Amministrazione Trump, di oltre 800 ricercatori della NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), l’agenzia statunitense che monitora oceani, atmosfera e clima, rappresenta un duro colpo. È come se, durante la crisi COVID-19, avessimo deciso di licenziare centinaia di medici nel pieno della pandemia: un’azione impensabile che avrebbe lasciato ospedali e pazienti senza supporto vitale. Allo stesso modo, privare il mondo di esperti climatici proprio ora, quando servono dati e previsioni per affrontare uragani, inondazioni e siccità sempre più intensi, rischia di compromettere la nostra capacità di risposta su scala globale. Mentre il clima vacilla e l’AMOC rallenta, il mondo non può permettersi di perdere chi monitora lo stato del clima e studia le soluzioni!”. (30Science.com)