Roma – Il privato acquista un ruolo sempre più forte nella mobilità sanitaria. Oltre 1 euro su 2 speso per ricoveri e prestazioni specialistiche fuori Regione finisce nelle casse della sanità privata accreditata: 1.879 milioni di euro (54,4%), contro i 1.573 milioni di euro (45,6%) destinati alle strutture pubbliche. Lo rivela una nuova analisi della Fondazione GIMBE. “La crescita del privato accreditato nella mobilità sanitaria – sottolinea Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – è un indicatore sia dell’indebolimento del servizio pubblico, sia dell’offerta che della capacità attrattiva del privato, seppur molto diversa tra le varie Regioni”. Infatti, le strutture private assorbono oltre il 60% della mobilità attiva in Molise (90,6%), Lombardia (71,4%), Puglia (70,7%) e Lazio (62,4%). In altre, invece, il privato ha una capacità attrattiva inferiore al 20%: Valle D’Aosta (16,9%), Umbria (15,5%), Liguria (11,9%), Provincia autonoma di Bolzano (9,9%) e Basilicata (8,9%). Secondo i dati Agenas, il 78,5% della mobilità per ricoveri è classificato come effettiva (2.108 milioni di euro), ovvero dipende dalla scelta del paziente. Il 17,4% (468 milioni di euro) è invece legato a prestazioni in urgenza (mobilità casuale) e il 4,1% (109 milioni di euro) riguarda casi in cui il domicilio del paziente non coincide con la Regione di residenza (mobilità apparente). Della mobilità effettiva, solo il 6,5% riguarda ricoveri ordinari a rischio inappropriatezza. Inoltre, considerando che una struttura è definita di prossimità se dista al massimo 50 km e/o il tempo di percorrenza non supera i 60 minuti, nel 2022 solo l’11,6% dei ricoveri in mobilità effettiva è avvenuto in strutture di prossimità. “Questo dato – commenta il Presidente – dimostra che lo spostamento dei pazienti verso altre
Regioni per ricevere cure in regime di ricovero è una necessità dettata dall’assenza di un’offerta sanitaria adeguata. Per molti cittadini, questo significa affrontare lunghi spostamenti, con disagi pesanti per chi è malato e costi significativi per le famiglie, sia in termini economici che di tempo e qualità di vita”. Relativamente alla specialistica ambulatoriale erogata in mobilità, oltre il 93% è riconducibile a tre categorie: prestazioni terapeutiche (33,9%), diagnostica strumentale (31,6%) e prestazioni di laboratorio (27,9%). “La mobilità sanitaria, che riflette solo in parte le diseguaglianze regionali, è un fenomeno dalle enormi implicazioni sanitarie, sociali, etiche ed economiche, che evidenzia profonde disparità nel diritto alla tutela della salute”, afferma Cartabellotta. “Rappresenta dunque un segnale di allarme, che impone interventi urgenti per riequilibrare i diritti delle persone. Garantire il diritto alla tutela della salute su tutto il territorio nazionale – continua – significa evitare che intere aree del Paese continuino a esportare pazienti e miliardi di euro, mentre altre consolidano i propri poli d’eccellenza, spesso rappresentati da strutture private accreditate. In assenza di investimenti mirati, coraggiose riforme, in particolare su Piani di rientro e commissariamenti, e politiche di riequilibrio, la mobilità sanitaria finirà per penalizzare sempre più i cittadini più fragili, minando alle fondamenta l’universalità del Servizio Sanitario Nazionale. Infine, senza adeguate misure correttive, l’autonomia differenziata affosserà definitivamente la sanità del Mezzogiorno, con un effetto boomerang sulle Regioni del Nord più attrattive, che potrebbero trovarsi in difficoltà nel garantire un’adeguata erogazione dei LEA ai propri cittadini residenti”. (30Science.com)
Valentina Arcovio
Fondazione Gimbe: cresce privato come meta per cure fuori regione
(12 Febbraio 2025)
Valentina Arcovio