Roma -“Le megasiccità hanno già devastato regioni intere del mondo e sono in crescita. L’Europa per le sue caratteristiche naturali rischia di subire effetti particolarmente gravi” Così la professoressa Francesca Pellicciotti dell’Istituto di scienza e tecnologia austriaco (ISTA), che guida un progetto di ricerca sulle megasiccità a livello globale, nell’ambito del quale è stato pubblicato un nuovo studio sulla prestigiosa rivista “Science”. Il progetto è stato finanziato dall’Istituto federale svizzero per la ricerca sulle foreste, la neve e il paesaggio (WSL). “Per la prima volta – spiega Pellicciotti – abbiamo mappato per il periodo 1980-2018, il fenomeno delle megasiccità, siccità persistenti che durano due anni o più, su tutta l’area del Globo. Ne è emerso che questo tipo di siccità ha già fatto enormi danni, ad esempio in Cile, ed aumenterà in frequenza, severità ed estensione. Questo ci impone di cambiare il modo con cui guardiamo alla siccità, non pensandolo più solamente come un fenomeno stagionale, ma perenne, rafforzando i nostri studi e preparando nuove soluzioni per aumentare la nostra resilienza”.
Il team internazionale dietro la nuova ricerca ha utilizzato come base per la propria analisi i dati climatici CHELSA preparati dal ricercatore senior WSL e autore dello studio Dirk Karger , che partono dal 1979. Gli studiosi hanno calcolato le anomalie nelle precipitazioni e nell’evapotraspirazione (evaporazione dell’acqua dal suolo e dalle piante) e il loro impatto sugli ecosistemi naturali in tutto il mondo. Ciò ha permesso loro di calcolare numero e impatto delle siccità pluriennali sia in regioni del pianeta ben studiate che meno accessibili, in particolare in aree come le foreste tropicali e le Ande, dove sono disponibili pochi dati osservativi. “Il nostro metodo – afferma Karger – non solo ha mappato siccità ben documentate, ma ha anche fatto luce su siccità estreme passate inosservate, come quella che ha colpito la foresta pluviale del Congo dal 2010 al 2018”.
Per garantire risultati coerenti per tutto il mondo, il team ha sviluppato un’analisi multi-step che permettesse di compensare alcune lacune nei dati satellitari. Hanno così dimostrato che le mega-siccità hanno avuto il più alto impatto immediato sulle praterie temperate, in particolare negli Stati Uniti occidentali, la Mongolia centrale e orientale e l’Australia sud-orientale. Stante ai dati degli autori del nuovo studio l’Europa e l’Italia in particolare non hanno ancora visto megasiccità, ma questo non deve farci abbassare la guardia. “I nostri dati – continua la prof.ssa Pellicciotti – si fermano al 2018 e gli ultimi anni sono stati i più caldi mai registrati, non sappiamo se lo scenario in Europa sia già mutato. E comunque per le loro caratteristiche le regioni europee, penso in particolare a zone della Spagna e alla Sicilia, se colpite da megasiccità rischiano di subire profonde ferite ecologiche, agricole etc, anche in tempi minori rispetto a quelli che ci sono voluti per avere effetti similari in contesti diversi come in Cile. Anche una megasiccittà di soli due anni – e non di quindici come in Cile – sarebbe devastante”. In altri contesti sempre italiani ed europeei si potrebbe invece assistere a un effetto paradossale di miglioramento della vegetazione: “Pensiamo ad esempio alle zone di montagna coperte dalle foreste, lì finché c’è acqua nelle falde o che proviene dallo scioglimento dei ghiacciai, le megasiccità possono ridurre i periodi freddi e aumentare quelli di crescita della vegetazione. Ma è un effetto transitorio, sulla lunga le megasiccità impediscono il ‘rifornimento’ tanto delle falde che dei ghiacciai, portando sempre allo stesso risultato finale”. (30science.com)