Roma – Nel Lazio sono morte 896 persone a causa di un epatocarcinoma nel 2020 e Latina è stata la provincia più colpita dopo Roma. Questi i dati presentati all’evento ECM dal titolo “L’epatocarcinoma nel Lazio. Focus sulle diverse realtà territoriali”, che si è svolto nei giorni scorsi a Latina, organizzato dal provider Letscom E3 con il patrocinio di ASL di Latina, Ordine dei Medici della provincia Latina ed EpaC Onlus. “È urgente elaborare nel Lazio una strategia – sottolineano gli esperti intervenuti all’evento – che favorisca la formazione di una Rete territoriale per la gestione dell’epatocarcinoma, con l’obiettivo di poter garantire a tutti i pazienti della regione una precoce identificazione dei casi ed una rapida presa in carico e garantire un accesso al miglior trattamento possibile omogeneo, indipendente dal luogo di residenza, dal censo e dal livello culturale”. L’epatocarcinoma è il più frequente tumore primitivo del fegato ed è tra le prime cinque cause di mortalità per neoplasie. Questo raramente insorge nel contesto di un fegato sano, rappresentando invece spesso una complicanza delle malattie epatiche croniche quali la cirrosi epatica, di diversa eziologia, come infezioni croniche da HBV, HCV, abuso etilico, malattie metaboliche e autoimmunità. “Ad oggi purtroppo sussiste una disparità nei percorsi di presa in carico e cura dei pazienti affetti da epatocarcinoma nel Lazio”, dichiara Adriano De Santis, associato di Gastroenterologia alla Sapienza Università di Roma, dirigente Medico nella UOC di Gastroenterologia del Policlinico Umberto I di Roma e tra i responsabili scientifici dell’evento. “La distribuzione delle risorse sul territorio, infatti, non risulta uniforme e non tutti i centri regionali dispongono di tutte le opzioni diagnostiche e terapeutiche. L’epatocarcinoma – continua – è una patologia grave che in genere insorge su fegato cirrotico e che coinvolge molti professionisti, a cominciare dai medici di medicina generale, con cui vorremmo stabilire un rapporto di collaborazione stretta per facilitare la vita dei pazienti colpiti da questa grave malattia”. Nel Lazio, nel 2020, 51.835 persone risultavano affette da cirrosi epatica, la malattia predisponente allo sviluppo dell’epatocarcinoma. Di queste 5.099 risiedevano nella provincia di Latina, prima per numerosità dopo Roma tra le altre province. Nello stesso anno, nella provincia di Latina, 184 pazienti sono stati ricoverati per epatocarcinoma ed 86 sono morti. In totale, nel Lazio, nel 2020 sono decedute 896 persone. Durante la prima sessione, in particolare, sono state analizzate e messe a confronto le diverse realtà locali che si occupano del percorso di diagnosi e cura dell’epatocarcinoma, con un focus sugli ospedali di Latina, Aprilia, Formia e Terracina. Sono state esaminate quindi le interazioni tra questi centri ospedalieri e altre strutture di eccellenza, come l’Azienda Ospedaliera-Universitaria Policlinico Umberto I e l’Azienda Ospedaliera San Camillo di Roma. I temi trattati, sull’identificazione dei pazienti a rischio e sulla gestione, hanno incluso la prevenzione, la diagnosi precoce e la stadiazione, oltre all’avvio di percorsi di cura multidisciplinari. “La ASL di Latina ormai da 15 anni segue pazienti affetti da epatopatie croniche avanzate e cirrosi epatica e le sue complicanze come l’epatocarcinoma”, racconta Lorenzo Ridola, direttore della UOC di Gastroenterologia dell’ospedale ‘S. Maria Goretti’ di Latina. “Da tempo è attivo un sistema di gestione multidisciplinare – continua – per questa patologia così impattante per il paziente, il caregiver e il sistema sanitario, con l’apporto fondamentale di tutti i protagonisti coinvolti, gastroenterologi, internisti, oncologi, radiologi e chirurghi. Confidiamo molto nel valore della gestione multidisciplinare di questa patologia e ci auguriamo un grande coinvolgimento del territorio per agire in maniera sinergica per il miglioramento della prognosi dei pazienti”. Ad intervenire anche il dottor Oreste Bagni, responsabile della UOC di Medicina Nucleare del ‘Goretti’ di Latina, che ha raccontato: “La Medicina Nucleare di Latina eroga dal 2004 prestazioni di radioembolizzazione epatica insieme al team multidisciplinare. L’esperienza ci ha portato a trattare oltre 1.500 pazienti e, di questi, oltre il 60% era affetto da epatocarcinoma (mentre gli altri da patologie epatiche e/o lesioni epatiche di altro tipo). Abbiamo quindi avviato da tempo una proficua collaborazione con il Tumor Board dell’Umberto I di Roma, grazie alla quale noi oggi possiamo presentare questi dati così confortanti”. È stata poi sottolineata l’importanza dell’utilizzo di nuovi farmaci e della crescita tecnologica applicata nella cura, con uno sguardo anche all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. “Questi elementi – sottolineano gli esperti – sono sempre più cruciali per migliorare la vita dei pazienti, offrendo un servizio di qualità superiore ai pazienti e alle loro famiglie”. La seconda sessione, invece, incentrata sul paziente al centro del percorso di diagnosi e cura, ha visto la formazione di gruppi di lavoro di medici che, attraverso una discussione interattiva, hanno analizzato alcuni casi clinici di real-life. La giornata si è conclusa con una tavola rotonda per discutere sulle proposte per arrivare a realizzare una “concreta parità di accesso” alla diagnosi ed alla cura dell’epatocarcinoma. (30Science.com)