Valentina Arcovio

Tumori: immunoterapia, solo 20% centri organizzato su eventi avversi

(26 Novembre 2024)

Roma – Nel giro di pochi anni l’immunoterapia è diventata un pilastro nel trattamento di molti tumori. Tanto che, attualmente, il 70% dei centri oncologici italiani ha avviato a questo trattamento oltre 50 nuovi pazienti ciascuno, mentre il 30% ne ha avviati oltre 100. Tuttavia, solo nel 20% delle strutture sono stati istituiti gruppi di lavoro multiprofessionali realmente strutturati per la gestione delle possibili tossicità, che possono essere piuttosto frequenti nei pazienti sottoposti a immunoterapia. Questi numeri sono emersi da un’indagine condotta da Cipomo (Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri), che ha voluto fotografare a 360 gradi lo stato dell’arte nella gestione dell’immunoterapia in 109 strutture complesse di Oncologia distribuite su tutto il territorio nazionale, coinvolgendo 150 professionisti apicali. La stragrande maggioranza (70%) di loro ha dichiarato di aver iniziato l’immunoterapia su oltre 50 pazienti per il trattamento di diverse tipologie di tumore: cancro al polmone (25%), tumori genitourinari (17%), cutanei (16%), ginecologici (2%). I risultati dell’indagine sono stati presentati in occasione della quarta edizione del Cipomo Day, meeting virtuale che ha appena chiuso i suoi lavori, dove è stato anche presentato ai medici di medicina generale un vademecum per il riconoscimento e la gestione delle tossicità immunocorrelate. “L’immunoterapia è la grande novità terapeutica dell’ultimo decennio”, commenta Luisa Fioretto, presidente Cipomo e direttore del Dipartimento Oncologico e SOC Oncologia Medica, Azienda USL Toscana Centro. “Ma come succede nelle svolte epocali, si sono aperte nuove sfide – continua -che il sistema è chiamato a gestire: dall’informazione per il paziente e i caregivers sul meccanismo di azione, risultati e possibili effetti collaterali, al coinvolgimento multiprofessionale di specialisti interessati nel percorso di cura e di personale infermieristico, fino alle modifiche organizzative conseguenti alla prevalenza dei pazienti in trattamento e alla necessità di creare percorsi dedicati alla tossicità o alle urgenze legate all’immuniterapia. Ecco il motivo di questa indagine”. Aggiunge Giuseppe Aprile, direttore della Struttura Oncologica Complessa all’Ospedale di Udine: “In generale, almeno la metà dei dirigenti interpellati ha dichiarato di aver avviato l’immunoterapia solo dopo una discussione nell’ambito dei cosiddetti GOM, i gruppi di lavoro multidisciplinari, composti cioè da diversi specialisti che partecipano alla definizione e alla attuazione pratica del percorso diagnostico, terapeutico e riabilitativo dei pazienti oncologici. Per ora solo nel 20% delle realtà è attivo un gruppo multidisciplinare realmente strutturato, ma resta comunque un buon punto di partenza, che come Cipomo ci impegnamo a far crescere più velocemente possibile nei prossimi anni”. L’indagine ha fatto anche emergere le ricadute che l’immunoterapia ha sull’organizzazione delle strutture oncologiche. “Oltre all’aumento della spesa per i farmaci, che la stragrande maggioranza dei dirigenti ritiene accettabile – prosegue Aprile – oggi vi è anche la necessità di pensare ad una riorganizzazione logistica di accessi ed orari di somministrazione. Inoltre, occorre tener conto del surplus di carico di lavoro amministrativo per i dirigenti oncologi”. Con l’arrivo di nuove formulazioni dell’immunoterapia ci si aspetta anche un cambiamento organizzativo favorevole, che andrà a impattare sulla sostenibilità economica. “Nuove vie di somministrazione dei trattamenti immunoterapici, come quella sottocutanea, possono favorire un’oncologia del territorio”, commenta Sandro Barni, primario emerito di oncologia all’Ospedale di Treviglio (BG) e consigliere nazionale Cipomo. “Il 75% degli oncologi intervistati nell’ambito della nostra indagine ha affermato che questo cambiamento è abbastanza o molto impattante da un punto di vista organizzativo. L’87% degli specialisti, inoltre, ritiene importante – continua – l’educazione dei pazienti e dei caregiver come un ulteriore elemento di sicurezza e qualità, specialmente nel saper intercettare precocemente l’insorgenza di effetti collaterali legati all’immunoterapia. In questo svolge ruolo importante il personale infermieristico”. Rimangono, infine, una serie di interrogativi aperti a cui solo la ricerca, con il tempo, può rispondere. “Il principale quesito relativo all’immunoterapia riguarda se e quando è possibile interrompere i trattamenti – precisa Monica Giordano, direttore della Struttura Complessa di Oncologia all’ASST Lariana –: non abbiamo ancora la risposta e per questo ci sono studi in corso. Inoltre, sono ancora poche le informazioni che riguardano la tossicità nel paziente potenzialmente guarito, sottoposto a immunoterapia adiuvante. Siamo in attesa di capire anche se gli strumenti innovativi basati sull’Intelligenza artificiale potranno aiutare l’oncologo a selezionare e a gestire meglio il paziente candidato all’immunoterapia”. (30Science.com)

Valentina Arcovio