Roma – La siccità sta mettendo a rischio i capolavori dell’arte rupestre dello Zimbabwe, creati tra 2000 e 13.000 anni fa. E’ quanto emerge da un articolo pubblicato su Science. Nello Zimbabwe meridionale, presso le Matobo Hills esistono circa 3.000 dipinti rupestri realizzati dal popolo nomade San tra 2000 e 13.000 anni fa. Si tratta di una delle più alte concentrazioni di arte rupestre in Africa ed è stata nominata patrimonio mondiale dell’UNESCO nel 2003. Sfortunatamente, oltre che dal vandalismo questi capolavori sono minacciati dall’erosione acuita dal cambiamento climatico. Quest’anno, lo Zimbabwe ha subito una delle peggiori siccità a memoria d’uomo con temperature massime da 2°C a 5°C superiori alla norma. Il clima caldo e secco aumenta il rischio di incendi e uccide la vegetazione, aumentando l’erosione del suolo e rendendo i siti di arte rupestre più inclini alle inondazioni durante la stagione delle piogge. Per cercare di preservare quanto meno la memoria di questi dipinti, un gruppo no-profit sta lavorando con la gente del posto per documentare e sensibilizzare l’opinione pubblica sull’arte rupestre prima che scompaia. Da luglio, l’Amagugu International Heritage Centre (AIHC), con sede nel villaggio di Whitewater vicino alla città meridionale di Bulawayo, sta collaborando con l’ambasciata statunitense in Zimbabwe e il museo nazionale del paese per registrare storie locali sull’arte, identificare nuovi siti e sviluppare un catalogo dei dipinti rupestri. Preservare l’arte è essenziale per comprendere le antiche società che l’hanno creata, ha affermato Ancila Nhamo, professoressa di archeologia presso l’Università dello Zimbabwe che lavora al progetto. “L’arte è un prodotto della mente e della cultura, che è una cosa intangibile”, ha affermato. “Ma quando ottieni l’arte, puoi entrare nella mente di queste persone e vedere davvero com’era il mondo a quel tempo”. Nel frattempo, un progetto di ricerca congiunto franco-zimbabwese chiamato MATOBART sta lavorando per datare l’arte rupestre nelle Matobo Hills . La pittura è fatta di materiale inorganico, quindi non può essere datata al radiocarbonio, ha detto il responsabile del progetto Camille Bourdier dell’Università di Tolosa-Jean Jaurès. Invece, lei e altri ricercatori hanno deciso di datare gli utensili in pietra, tra cui le tavolozze probabilmente usate per creare i dipinti, e le scaglie di pittura cadute a terra. Sperano di stimare le età minime datando direttamente i sedimenti attorno a questi manufatti. I risultati preliminari confermano le stime precedenti fatte dagli archeologi negli anni ’80, che suggerivano che i dipinti fossero stati creati a partire da circa 13.000 anni fa. Una datazione più precisa consentirà ai ricercatori di interpretare l’arte in modo più accurato. (30Science.com)