Gianmarco Pondrano d'Altavilla

Quale futuro per la scienza nell’era Trump 2.0?

(7 Novembre 2024)

Era il 2017 e da poco Donald J. Trump aveva sconfessato buona parte degli analisti negli USA e nel Mondo, aggiudicandosi la sua prima elezione presidenziale contro Hillary Clinton. Un entomologo canadese, Vazrick Nazari, faceva una curiosa scoperta: una specie di lepidottero fino ad allora sconosciuta con un particolarissimo ciuffo biondo sulla testa, che al ricercatore ricordò subito di prepotenza qualcuno. Era nata la Neopalpa donaldtrumpi che del tycoon oltre alla capigliatura si era ritrovata per sempre anche il nome. A leggere i commenti della comunità scientifica sul day after della seconda ascesa trumpiana alla Casa Bianca, quello del lapidottero è stato e rimarrà per i prossimi 4 anni l’unico contributo dell’era Trump alla scienza. Anzi nel complesso – tra negazionismo climatico, tagli di fondi alla ricerca, disinformazione dilagante etc. – gli scienziati nel mondo sembra si stiano preparando a uno dei momenti più cupi della loro storia recente.

 

 

Neopalpa donaldtrumpi
Credito
Vazrick Nazari

 

La domanda che sorge spontanea è se questo clima apocalittico sia giustificato o meno. Ad una prima lettura della faccenda, sembrerebbe che non ci sia nemmeno da discutere. Trump è l’uomo che ha sfilato gli USA dall’Accordo di Parigi sul clima, e che dopo la marcia indietro di Biden probabilmente riporterà gli States fuori dall’impegno internazionale contro il cambiamento climatico (sulla base di un evidente “ridimensionamento” – ad essere generosi – di gran parte delle evidenze scientifiche in materia); Trump è l’uomo della lotta senza quartiere alla Cina e dell’isolazionismo pro-America, che molti ricercatori temono renderà la vita assai complicata non solo alle collaborazioni scientifiche tra le due superpotenze sulle sponde del Pacifico, ma in generale a tutte le liasons internazionali di ricerca; Trump è l’uomo dagli stretti legami con la comunità teo-con che certo non vede di buon occhio la ricerca medica che possa toccare temi sensibili come quello della genetica o delle staminali; Trump è l’uomo delle cure casalinghe contro la COVID durante la pandemia che vorrebbe affidare al no-vax Robert F. Kennedy Jr., un “ruolo importante” nella sua amministrazione; Trump – last but not least – è l’uomo campione della disinformazione online e non solo che – insieme a Musk e compagnia – ha prodotto capolavori di immaginazione pantagruelica tra concittadini dei Simpson a Springfield che farebbero banchetti a base di animali domestici e lo scoiattolo star dei social ucciso per un pericolo di rabbia diventato paladino contro l’invadenza dello Stato totalitario Dem. Nessuna meraviglia quindi – almeno apparentemente – per dichiarazioni come quella del premio Nobel Fraser Stoddart riportata da “Nature”, per il quale nella sua lunga vita di 82 anni, “non c’è stato giorno in cui mi sia sentito più triste”. O per i risultati di un sondaggio condotto dalla stessa “Nature” prima del voto, secondo il quale uno schiacciante 86 per cento (su un campione di 2000 lettori dei quali il 77% auto identificati come ricercatori) sosteneva la Harris in questa corsa presidenziale ritenuta dal 68% dal campione “molto importante” per il futuro della scienza negli USA. Se tutto il lato negativo della questione è indubbiamente fondato forse, però, uno sguardo più ampio potrebbe riservare qualche motivo di – se non proprio ottimismo – almeno non di armageddoniana inquietudine. Innanzi tutto, vanno considerate le dinamiche interne della politica americana: Trump non è tutto il partito repubblicano. Nel 2022, ad esempio, ci fu un sostegno bipartisan al Senato alla legge Biden per rafforzare l’industria dei semiconduttori statunitense in declino, legge che conteneva anche un impegno a raddoppiare il budget della National Science Foundation (NSF) in 5 anni. La parte dedicata alla “scienza” è invisa a molti repubblicani e il nuovo Congresso sarà probabilmente molto più trumpiano di quanto non lo fosse il precedente. Ma nei singoli voti anche una manciata di eletti può fare la differenza e non è detto che tutti i membri del GOP si schierino sempre compatti dietro Trump. E anche analizzando direttamente l’amministrazione Trump, viene alla mente l’Operation Warp Speed (OWS) iniziata proprio con The Donald alla Casa Bianca che – al netto di tutte le critiche – ha dato un bel colpo di acceleratore alla lotta alla COVID-19, contribuendo allo sviluppo dei vaccini e in particolare alla tecnologia dei vaccini mRNA che ora promettono anche cure personalizzate contro il cancro. Un’ altro peso da mettere sul piatto della bilancia è proprio l’affaire Cina. Vero: la scienza senza collaborazione non funziona, ma non è detto che tutte le collaborazioni siano, oltre che politicamente, anche scientificamente egualmente valide. Avere a che fare con un regime dittatoriale pronto a sfruttare ogni mezzo (anche i più crudi) per far sì che le verità siano sempre le “sue” verità, e che non si è fatto scrupolo in passato di rubare a piene mani dalla ricerca occidentale, potrebbe non essere la via maestra per rafforzare quelle istituzioni di libertà, confronto, e – possibilmente – di attenzione alle risultanze empiriche, anche scomode, senza le quali davvero la scienza come noi la conosciamo non potrebbe sopravvivere a lungo. Ancora: c’è il fattore Musk da valutare. L’imprenditore – che spesso assomiglia più ad un giocatore di azzardo con particolare benedizione della Provvidenza – ha sostenuto Trump contro tutto e tutti, mettendoci fior di milioni. E’ evidente che avrà la sua contropartita e che molto probabilmente questa contropartita significherà dei bonus significativi per le sue aziende. Visto l’uso discretamente spregiudicato in tema di post-verità che ha fatto di X questa potrebbe non essere la migliore delle notizie anche per l’indice di fiducia del pubblico nella comunità scientifica.

Elon Musk
Credito
U.S. Air Force / Trevor Cokley

 

Ma azzardato e buono, Musk è anche l’uomo che ha scommesso su imprese scientifiche impressionanti, che hanno dato slancio ai più futuristici sogni dell’umanità – dal potenziamento delle capacità cerebrali umane grazie ai chip di Neurolink sino alla speranza di mettere da parte per sempre lavori usuranti con la robotica e la guida autonoma. E su tutto ci sono Space X e Starlink senza le quali i programmi spaziali soprattutto in Europa sarebbero rimasti a terra (letteralmente, difettando di vettori in numero adeguato, sostituiti da quelli del magnate) e intere popolazioni– anche in situazioni gravi come la guerra in Ucraina – non avrebbero avuto quella porta sul mondo che è Internet. Non è detto che se alla fine davvero Musk avrà un ruolo diretto nell’amministrazione Trump, il suo know-how tecnologico (che comprende non da ultima anche l’Intelligenza artificiale) unito alla sua tendenza a infrangere barriere considerate intoccabili, non possano rivoluzionare, o almeno far fare un deciso passo avanti al modello stesso dell’amministrazione pubblica, favorendo efficacia ed efficienza delle quali gli Stati in tutto il mondo hanno un disperato bisogno.

Da ultimo, non è da escludere che proprio le difficoltà che l’era Trump porta in dote alla comunità scientifica, possano avviare un processo di autocritica positivo che rinsaldi i legami della scienza e dei suoi rappresentanti con la salutare assunzione di responsabilità per i propri errori. Per citare il caporedattore di “Science”, Herbert Holden Thorp “La scienza si rende vulnerabile alla sfiducia, e quindi suscettibile di attacchi cinici, quando si verifica una cattiva condotta nella ricerca e riviste, agenzie federali e università sono lente a correggere la situazione. Quando i ricercatori capo (PI) incolpano i propri studenti e dottorandi per i problemi, si crea la percezione che i PI si preoccupino più di proteggere la propria reputazione che di servire l’interesse pubblico o sostenere i colleghi meno potenti. La ricerca mostra che è più probabile che il pubblico si fidi degli scienziati quando questi dimostrano la volontà di cambiare le proprie opinioni sulla base di nuovi dati, come ovviamente dovrebbero fare gli scienziati. Questa apertura può anche aiutare a contrastare la percezione negativa secondo cui gli scienziati potrebbero essere influenzati dalle loro opinioni politiche”. Solo il tempo ci dirà se a bilancio, tra 4 o 8 anni di amministrazione repubblicana alla Casa Bianca, i conti della scienza potranno chiudersi in attivo. Alla peggio bisognerà davvero accontentarsi di un lepidottero dal ciuffo prorompente.(30Science.com)

 

 

Gianmarco Pondrano d'Altavilla