Lucrezia Parpaglioni

Mancano soli 60 raccolti al collasso del sistema alimentare

(10 Ottobre 2024)

Roma – Restano solo sessanta raccolti prima che il sistema alimentare terrestre collassi. A lanciare l’allarme il libro “Regenerative Farming and Sustainable Diets”, curato da Joyce D’Silva e Carol McKenna e scritto a più mani da decine di sostenitori dell’ambiente, ricercatori, agricoltori e pionieri del settore. Diete a base vegetale, agricoltura compassionevole, metodi indigeni, pressione dei consumatori, nuove leggi, accordi internazionali e persino animali domestici vegani: queste sono le soluzioni per risolvere i sistemi alimentari e agricoli in crisi, secondo gli esperti. “Il nostro sistema alimentare è rotto: è necessario un cambiamento radicale, nel nostro mondo in cui un terzo del cibo va perso o sprecato, 780 milioni di persone soffrono la fame e tre miliardi di persone non possono permettersi di mangiare in modo sano”, hanno dichiarato D’Silva e McKenna. In questo contesto, l’eminente ricercatore e autore, Philip Lymbery, sostiene la necessità di un accordo globale delle Nazioni Unite per trasformare i sistemi alimentari. “Ci restano solo sessanta raccolti nei nostri terreni per salvare il futuro dei nostri figli, per le persone, gli animali e il pianeta, il tempo scorre; non c’è tempo da perdere”, ha detto Lymbery. “Quello che facciamo ora definirà i prossimi mille anni”, ha sottolineato Lymbery. Nel suo capitolo, lo scienziato Tim Benton spiega come l’aumento del consumo di carne sia stato uno dei principali fattori della nostra crisi planetaria. “Con l’aumento della domanda, in parte a causa della crescita della popolazione mondiale, ma soprattutto a causa dell’aumento del consumo di carne e del conseguente aumento della domanda di mangimi, è cresciuto anche l’uso di input chimici come fertilizzanti, pesticidi ed erbicidi per massimizzare i rendimenti sui terreni coltivati esistenti”, ha spiegato Benton. “La natura ne ha risentito: la produzione alimentare è quindi una delle cause principali del declino della biodiversità, della deforestazione, dell’inquinamento dell’acqua e dell’aria e del degrado del territorio”, ha proseguito Benton. Ma, lungi dal suonare semplicemente un campanello d’allarme, gli autori dei capitoli del libro suscitano speranza offrendo soluzioni per nutrire il mondo, nutrendo al contempo i nostri terreni e proteggendo le nostre specie. Il produttore lattiero-caseario britannico, David Finlay, traccia il proprio percorso di allontanamento dall’agricoltura intensiva e di avvicinamento all’agricoltura compassionevole. In soli otto anni, ha creato un sistema che produce latte in abbondanza, vede i vitelli rimanere con le loro madri e raggiungere prima il peso maturo, nutre il bestiame con foraggio a foglia invece che con cereali di massa, incrementa la biodiversità dell’azienda agricola ed è diventato “positivo per il clima”. La studiosa indiana, Vandana Shiva, invita a imparare dalle popolazioni indigene che proteggono l’80% della biodiversità del pianeta prendendosi cura del 22% della terra ancora sotto la loro custodia. “Possiamo colmare il divario di emissioni dovuto al cambiamento climatico attraverso un’agricoltura ecologica ora, non in un momento futuro”, ha detto Shiva. “Anche se solo il 10% delle aziende agricole e dei pascoli è gestito in modo rigenerativo, massimizzando la fotosintesi e gli essudati radicali, possiamo mitigare le emissioni fissando più carbonio vivo nelle piante e accumulando carbonio nel suolo”, ha osservato Shiva. “La soluzione all’estinzione per fame e all’emergenza climatica è tornare alla Terra e rigenerare la sua biodiversità nei suoli, nelle fattorie, nelle foreste, nelle nostre diete e nel nostro intestino”, ha evidenziato Shiva. L’ematologa britannica, Shireen Kassam, dimostra come le diete a base vegetale favoriscano la salute umana e planetaria. La studiosa cita la dieta per la salute planetaria EAT-Lancet, che suggerisce agli esseri umani di ricavare oltre l’85% dell’energia da alimenti vegetali sani. È stato dimostrato che questo approccio riduce di oltre il 60% i decessi per tutte le cause e fino al 40% i tassi di cancro. Ma, forse non sono solo gli esseri umani a dover seguire una dieta a base vegetale. Nel suo capitolo, il ricercatore, Andrew Knight, sostiene l’opportunità di alimentare cani e gatti con una dieta vegana. Egli ritiene che la produzione di cibo per animali domestici contribuisca per oltre un quarto all’impatto ambientale del settore zootecnico e stima che, se tutti i cani e i gatti del mondo fossero vegani “verrebbero uccisi quasi sette miliardi di vertebrati in meno”. In effetti, Knight presenta prove del fatto che, se tutti i cani domestici del mondo fossero vegani, si risparmierebbe abbastanza cibo da sfamare l’intera popolazione dell’UE.  E se tutti i gatti domestici fossero vegani, si risparmierebbe la stessa quantità di emissioni di gas serra che emette l’intera Nuova Zelanda. Ma i nostri compagni di casa canini e felini, naturalmente carnivori, possono davvero condurre una vita sana da vegani? Knight sostiene di sì e cita studi che hanno dimostrato che i cani e i gatti alimentati con diete vegane corrette dal punto di vista nutrizionale godono di una salute almeno altrettanto buona, e per certi aspetti migliore, di quelli alimentati con diete a base di carne. Sebbene i vari autori dei capitoli cantino all’unisono sulla strada da seguire, alcuni hanno idee diverse su quali siano i gruppi più adatti a realizzare il cambiamento. Il cofondatore di Leon, Henry Dimbleby, che ha guidato due revisioni indipendenti per il governo, sostiene che non possiamo affidarci agli acquirenti o agli agricoltori per guidare il cambiamento e chiede invece ai governi di farsi avanti. “Abbiamo bisogno di una nuova legislazione per migliorare la vita degli animali da allevamento: un continuo innalzamento degli standard che ci aspettiamo per gli animali d’allevamento per alleviare la crudeltà che infliggiamo loro”, ha detto Dimbleby.  “Non serve aspettarsi che i produttori di cibo o i rivenditori agiscano volontariamente: gli incentivi commerciali a produrre carne a basso costo sono semplicemente troppo forti”, ha evidenziato Dimbleby. “Non possiamo nemmeno fare affidamento sulla pressione dei consumatori: sebbene il benessere degli animali sia ai primi posti tra le preoccupazioni dei consumatori, la maggior parte delle persone non ha né il tempo né le informazioni necessarie per rintracciare la provenienza di tutta la carne che acquista”, ha spiegato Dimbleby. Ma, il direttore esecutivo di Waitrose, James Bailey, che nel suo capitolo fa un cenno di approvazione al lavoro di Dimbleby, sembra non essere d’accordo con lui su questa particolare questione. Al contrario, punta il dito sui clienti. “Il cambiamento rivoluzionario avverrà solo quando sarà richiesto dagli acquirenti”, ha sottolineato Bailey. “Abbiamo bisogno di clienti che comprendano la posta in gioco, disposti ad acquistare alimenti prodotti in modo più sostenibile e che probabilmente saranno un po’ più costosi”, ha aggiunto Bailey. “Il motivo per cui gli alimenti vegani hanno quadruplicato lo spazio sugli scaffali negli ultimi cinque anni nel Regno Unito non è perché le priorità dei supermercati sono cambiate ma perché sono cambiate le priorità dei clienti”, ha specificato Bailey. Nel suo capitolo, Lyla June Johnson, esperta di sistemi alimentari indigeni, esorta a imparare dai metodi tradizionali. “Non dobbiamo accontentarci di piccoli frutteti, né dobbiamo semplicemente lasciare che la natura faccia il suo corso, ma possiamo essere agenti attivi e partecipare al modo in cui la terra ha un aspetto e un sapore su scala massiccia e regionale”, ha notato Johnson. “Forse questo ci segnala come esseri umani che abbiamo davvero uno scopo ecologico in questo mondo, se semplicemente utilizziamo la nostra energia in modo rigenerativo”, ha commentato Johnson. (30Science.com)

 

 

Lucrezia Parpaglioni
Sono nata nel 1992. Sono laureata in Media Comunicazione digitale e Giornalismo presso l'Università Sapienza di Roma. Durante il mio percorso di studi ho svolto un'attività di tirocinio presso l'ufficio stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Qui ho potuto confrontarmi con il mondo della scienza fatto di prove, scoperte e ricercatori. E devo ammettere che la cosa mi è piaciuta. D'altronde era prevedibile che chi ha da sempre come idolo Margherita Hack e Sheldon Cooper come spirito guida si appassionasse a questa realtà. Da qui la mia voglia di scrivere di scienza, di fare divulgazione e perché no? Dimostrare che la scienza può essere anche divertente.