Gianmarco Pondrano d'Altavilla

Nuovo studio italiano fa luce sui possibili fossili di Marte

(29 Ottobre 2024)

Roma – La vita su Marte potrebbe esserci effettivamente stata e avrebbe lasciato dietro di sé tracce fossili. E’ quanto emerge da un nuovo volume intitolato “Compelling Evidence of Fossils and Microbialites on Ancient Mars” curato dagli italiani Vincenzo Rizzo e Giorgio Bianciardi. Le tracce – spiega Rizzo, ex ricercatore dell’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (Cnr-Irpi) – fanno riferimento ad ambienti lacustri o di acque poco profonde di miliardi di anni fa “Le forme fossili – continua – richiamano alghe scheletriche, tipo alghe verdi e similari. Ovvero in raffronto alle forme di vita terrestre potrebbero essere dei primi Eucarioti unicellulari. Per le microbialiti, invece, che non sono fossili ma rocce formate dall’attività batterica, ci sono tantissime strutture, sparse un po’ dovunque, e riferibili allo stesso periodo e sicuramente anche più antiche (Noachiano). I fossili si riferiscono a immagini riprese dai rovers della NASA (soprattutto Opportunity e Curiosity). Le aree indagate sono quindi quelle di Meridiani Planum e di Gale Crater. A Meridiani Planum è stato accertato che i depositi gessosi si sono formati in acqua. Nel Gale Crater le formazioni campionate sono di origine lacustre. I rari campioni dove sono state individuate strutture riferibili a microfossili, soprattutto tubi e coni zigrinati, forati centralmente e strutture richiamanti alcuni Eucarioti unicellulari, tipo Euglena, sono stati rinvenuti in formazioni argillose altamente diagenizzate e indurite (mudstone). Le formazioni a Meridiani Planum sono del tardo Noachiano (circa 3.7miliardi di anni fa). Il Gale Crater si è formato nello stesso periodo, ma le formazioni sedimentarie deposte al suo interno sono successive e si pensa siano dell’Esperiano (da 3.7 a 3 miliardi di anni fa. Alcuni lavori sperimentali danno per la Jarosite contenuta nella formazione argillosa di Mojave, visitata e indagata dal rover Curiosity, una età di 2,1 +/- 0,36 miliardi di anni (Martin et al., 2017). Presumibilmente tutte le strutture potenzialmente fossilifere mostrate dovrebbero riferirsi a terreni deposti nell’ Esperiano e – forse – in piccolissima parte fino all’inizio dell’Amazzoniano, tra i 3.7 e i 2 miliardi di anni fa”. Si è molto dibattuto sulla possibilità che le tracce potessero essere effettivamente ricondotte al passaggio di forme di vita: “Le strutture sono state tutte discusse e classificate in base alla loro affidabilità e rilevanza – continua Rizzo -Per alcune di esse, essenzialmente forme coniche, sono possibili ipotesi alternative connesse con gli impatti meteoritici e la conseguente espulsione dai sedimenti di aria e acqua in pressione o per gli stress indotti dagli impatti (queste forme mimiche sono note come cone-in-cone e shutter cones), ma per la maggior parte dei casi esaminati queste ipotesi non sono fattibili (i coni da impatto meteritico sono isoorientati e dello stesso materiale della massa incassante; mentre nei casi discussi sono caotici e presentano una mineralizzazione di colore diverso) e non ci sono alternative abiogeniche conosciute. Ci sono invece somiglianze con tratti di fossili terrestri”. Il tutto è rafforzato- aggiunge Bianciardi, già Ricercatore presso l’Università di Siena – da analisi morfometriche approfondite che corroborano ancor più, con significatività statistiche molto elevate, la interpretazione pro-vita delle forme fotografate dai Rover marziani. la somiglianza degli indici morfometrici è così elevata nel caso delle formazioni stromatolitiche terrestri, da far pensare che stiamo vedendo la stessa vita, suggerendo una possibile inseminazione biologica Marte-Terra o Terra -Marte. Ipotesi che, in base alle conoscenze di oggi, è molto più accettabile rispetto a un tempo passato. Proprio queste considerazioni, insieme al poderoso lavoro di analisi condotto nel volume, permette oggi con maggiore sicurezza di puntare verso l’ipotesi delle forme di vita. Ipotesi che potrà essere corroborata in futuro – conclude Rizzo – “continuando le indagini sulle riprese dei Rovers e possibilmente campionando i livelli analizzati per studi di dettaglio a Terra”. (30Science.com)

 

 

Gianmarco Pondrano d'Altavilla