Roma – Il ferro presente nella polvere proveniente dal deserto del Sahara sembra migliorare indirettamente le condizioni della vita oceanica. Questa curiosa correlazione emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista Frontiers in Marine Science, condotto dagli scienziati della Florida State University. Il team, guidato da Jeremy Owens, ha analizzato i carotaggi di perforazione del fondale dell’Oceano Atlantico, raccolti nell’ambito dell’International Ocean Discovery Program (IODP), un’indagine volta a valutare il cambiamento climatico attraverso una serie di parametri oceanici, geologici e associati all’origine della vita. Il ferro, spiegano gli esperti, è un micronutriente indispensabile, che favorisce processi come la respirazione, la fotosintesi e la sintesi del DNA. Risorsa limitata negli oceani, questo elemento influenza il clima globale e gli ecosistemi terrestri attraverso fiumi, ghiacciai, attività idrotermali e vento. Non tutte le sue firme chimiche, però, sono “bioreattive”, cioè disponibili per gli organismi che le assorbono dal loro ambiente. “Il ferro legato alla polvere del Sahara – riporta Owens – ha proprietà che cambiano con la distanza percorsa: maggiore è il tragitto dei granelli, più elevata sarà la bioreattività del ferro”. Nell’ambito del lavoro, il gruppo di ricerca ha selezionato quattro carotaggi in base alla loro distanza dal Sahara-Sahel Dust Corridor, che si estende dalla Mauritania al Ciad ed è noto per essere un’importante fonte di ferro legato alla polvere per le aree sottovento. I due nuclei più vicini a questo corridoio sono stati raccolti a circa 200 km e 500 km a ovest della Mauritania nordoccidentale, un terzo nell’Atlantico medio e il quarto a circa 500 km a est della Florida. Gli autori hanno studiato i 60-200 metri superiori di questi nuclei, che riflettono depositi risalenti agli ultimi 120 mila anni. Gli scienziati hanno misurato le concentrazioni totali di ferro e dei suoi isotopi attraverso lo spettrometro di massa al plasma. Gli esperti hanno quindi utilizzato una serie di reazioni chimiche per rivelare le frazioni di ferro totale presenti nei sedimenti sotto forma di carbonato di ferro, goethite, ematite, magnetite e pirite. Il ferro in questi minerali, pur non essendo bioreattivo, si è probabilmente formato da forme più bioreattive attraverso processi geochimici sul fondale marino. “Ci siamo concentrati sulle particelle che possono dissolversi facilmente nell’oceano – spiega Owens – a cui gli organismi marini possono accedere per i loro percorsi metabolici. I risultati suggeriscono che la proporzione di ferro bioreattivo era più bassa nei nuclei più occidentali rispetto a quelli più orientali. Ciò implicava che una proporzione corrispondentemente maggiore di ferro bioreattivo era stata persa dalla polvere e presumibilmente era stata utilizzata dagli organismi nella colonna d’acqua, così che non aveva mai raggiunto i sedimenti sul fondo”. “In generale – riporta Timothy Lyons, professore presso l’Università della California a Riverside e altra firma dell’articolo – il nostro lavoro suggerisce che durante il trasporto atmosferico a lunga distanza, le proprietà minerali del ferro legato alla polvere cambiano, e lo rendono maggiormente bioreattivo. Il ferro viene poi assorbito dal fitoplancton, prima che possa raggiungere il fondo. In altre parole, la polvere che raggiunge regioni come il bacino amazzonico e le Bahamas potrebbe contenere ferro particolarmente solubile e disponibile per la vita, grazie alla grande distanza dal Nord Africa e quindi a una maggiore esposizione ai processi chimici atmosferici. Il ferro trasportato sembra stimolare i processi biologici più o meno nello stesso modo in cui la fertilizzazione del ferro può avere un impatto sulla vita negli oceani e nei continenti. La polvere ferrosa sembra quindi avere un impatto importante per la vita anche a grandi distanze”. (30Science.com)
Valentina Di Paola
La polvere del Sahara favorisce la vita nell’oceano
(23 Settembre 2024)
Valentina Di Paola
Classe ’94, cresciuta a pane e fantascienza, laureata in Scienze della comunicazione, amante dei libri, dei gatti, del buon cibo, dei giochi da tavola e della maggior parte di ciò che è anche solo vagamente associato all’immaginario nerd. Collaboro con 30science dal gennaio 2020 e nel settembre 2021 ho ottenuto un assegno di ricerca presso l’ufficio stampa dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio nazionale delle ricerche. Se dovessi descrivermi con un aggettivo userei la parola ‘tenace’, che risulta un po’ più elegante della testardaggine che mi caratterizza da prima che imparassi a usare la voce per dar senso ai miei pensieri. Amo scrivere e disegnare, non riesco a essere ordinata, ma mi piace pensare che la mia famiglia e il mio principe azzurro abbiano imparato ad accettarlo. La top 3 dei miei sogni nel cassetto: imparare almeno una lingua straniera (il Klingon), guardare le stelle più da vicino (dal Tardis), pilotare un velivolo (il Millennium Falcon).