Roma – Produrre idrogeno verde direttamente dall’acqua di mare attraverso l’utilizzo di elettrolizzatori stabili nell’oceano potrebbe rappresentare più sfide rispetto ai potenziali benefici che porterebbe. Questo, almeno, è quanto emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista Joule, condotto dagli scienziati dell’Helmholtz-Zentrum Berlin (HZB), dell’Università di Yale e di altre istituzioni di ricerca. Il team, guidato da Jan Niklas Hausmann, ha valutato i rischi, i costi e i benefici di un approccio basato sull’uso di elettrolizzatori diretti DSE per desalinizzare l’acqua di mare. Inventare e sviluppare elettrolizzatori in grado di produrre idrogeno dall’acqua di mare non purificata, spiegano gli esperti, potrebbe sembrare un piano semplice ed efficace, ma in realtà, dispositivi di questo genere richiederebbero anni di ricerca e potrebbero non rappresentare la soluzione più ottimale. Secondo gli autori, in effetti, un semplice processo di desalinizzazione portare allo stesso risultato in tempi più brevi e con costi più contenuti. L’acqua dolce, commentano gli scienziati, costituisce una risorsa limitata, tanto che oltre il 96 per cento dell’acqua a livello globale deriva dagli oceani. Solo nel 2023, si contano oltre 500 pubblicazioni legate alla ricerca di una soluzione per immettere l’acqua di mare direttamente negli elettrolizzatori per produrre idrogeno verde. Un’attenta analisi dei costi/benefici, però, mostra che questo paradigma potrebbe non essere convincente. “Esistono già soluzioni efficienti per utilizzare l’acqua di mare nella produzione di idrogeno – afferma Hausmann – come l’osmosi inversa. Da un punto di vista termodinamico, la purificazione dell’acqua di mare richiede solo dello 0,03 per cento dell’energia necessaria per la sua elettrolisi”. Purificare l’acqua di mare per produrre un chilogrammo di idrogeno costa infatti meno di due centesimi, mentre nelle stazioni di servizio tedesche un chilogrammo di idrogeno raggiunge i 13,85 euro. Al contrario, lo sviluppo di elettrolizzatori DSE è estremamente impegnativo ed è altamente discutibile se queste tecnologie saranno mai in grado di eguagliare l’efficienza e la stabilità a lungo termine degli elettrolizzatori odierni. Gli elettrolizzatori DSE, osservano i ricercatori, vengono spesso presentati come una soluzione concreta per la produzione di idrogeno, ma si tratta di un progetto che finirebbe per assorbire ingenti fondi di ricerca che potrebbero essere destinati ad altro. “Per fare un paragone intuibile – spiega Hausmann – pensiamo all’idea di sviluppare delle auto alimentate a petrolio greggio. Saremmo anche in grado di realizzare un prodotto del genere, con le giuste competenze, ma non sarebbe efficiente e durevole come le alternative a benzina purificata”. “La ricerca accademica non deve necessariamente portare a soluzioni immediate – conclude Prashanth Menezes, altra firma dell’articolo – ma gli elettrolizzatori DSE vengono spesso pubblicizzati a scapito di altri approcci potenzialmente più promettenti. Se vogliamo raggiungere emissioni nette di carbonio pari a zero entro il 2050, i finanziamenti devono essere indirizzati a sviluppi che possano contribuire rapidamente a questo obiettivo. Le enormi somme di denaro richieste per lo sviluppo di questi progetti, pertanto, dovrebbero essere investite in modo più saggio, ad esempio per l’ottimizzazione degli elettrolizzatori che utilizzano acqua purificata, dato che il processo di purificazione dell’acqua comporta costi quasi nulli”. (30Science.com)
Valentina Di Paola
L’idrogeno verde potrebbe essere più lontano di quanto ipotizzato finora
(26 Luglio 2024)
Valentina Di Paola
Classe ’94, cresciuta a pane e fantascienza, laureata in Scienze della comunicazione, amante dei libri, dei gatti, del buon cibo, dei giochi da tavola e della maggior parte di ciò che è anche solo vagamente associato all’immaginario nerd. Collaboro con 30science dal gennaio 2020 e nel settembre 2021 ho ottenuto un assegno di ricerca presso l’ufficio stampa dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio nazionale delle ricerche. Se dovessi descrivermi con un aggettivo userei la parola ‘tenace’, che risulta un po’ più elegante della testardaggine che mi caratterizza da prima che imparassi a usare la voce per dar senso ai miei pensieri. Amo scrivere e disegnare, non riesco a essere ordinata, ma mi piace pensare che la mia famiglia e il mio principe azzurro abbiano imparato ad accettarlo. La top 3 dei miei sogni nel cassetto: imparare almeno una lingua straniera (il Klingon), guardare le stelle più da vicino (dal Tardis), pilotare un velivolo (il Millennium Falcon).