Roma – Le violenze dei coloni israeliani nei territori contesi sarebbero strettamente legate a picchi di violenze da parte della popolazione araba e si intensificherebbero quando a questi picchi le autorità costituite rispondono in maniera poco efficace. È quanto emerge da un nuovo studio pubblicato su “International Annals of Criminology” da parte di ricercatori della Hebrew University of Jerusalem. Lo studio, che copre il periodo 2009-2022, combina dati dell’Agenzia per la sicurezza israeliana, dell’Autorità palestinese, delle Nazioni Unite e di fonti open source. Utilizzando modelli generalizzati binomiali negativi e modelli Newey-West OLS, la ricerca ha valutato l’ipotesi che la violenza ebraica funzioni come una forma di reazione sociale alla violenza araba in momenti di inazione o di scarsa efficacia delle risposte delle autorità costituite. Lo studio ha scoperto una correlazione diretta per cui l’aumento della violenza araba porta ad un aumento della violenza ebraica, fornendo la prova che la violenza ebraica può essere, almeno in parte, una risposta alle minacce percepite e un mezzo di autodifesa. Inoltre, la violenza ebraica tende a diminuire quando le risposte governative alla violenza araba sono più pronunciate. Per quel che riguarda le violenze ebraiche, dalla metà del 2004, il Gruppo di Monitoraggio Palestinese (PMG) pubblica rapporti mensili su queste violenze tra cui intimidazioni o attacchi fisici e attacchi alla proprietà, inclusi ma non limitati a violazione di domicilio, impedimento dell’accesso e danni alla proprietà. I dati sono stati anche una delle fonti primarie per i dati sulle violenze ebraiche. A differenza dei dati PMG, però, l’OCHA richiede che ogni incidente sia convalidato da almeno due fonti indipendenti. Inoltre, i dati OCHA disaggregano anche gli incidenti per tipo di evento. Utilizzando entrambi i set di dati i ricercatori hanno scoperto che nei dati PMG si è verificata una media di 68,49 (deviazione standard [SD] = 42,08) incidenti al mese, mentre nei dati OCHA si è verificata una media di 59,29 (SD = 33,83) incidenti. Tuttavia, come mostrato nella Figura 1 , i set di dati si sovrappongono notevolmente.
Per quel che riguarda gli atti di violenza arabi, i dati sono stati ricavati dai rapporti mensili pubblicati dall’Agenzia di sicurezza israeliana (ISA), l’agenzia di intelligence interna israeliana, simile al Federal Bureau of Investigation (FBI) degli Stati Uniti. I dati risalgono al periodo da gennaio 2009 a dicembre 2022 e comprendono tutti gli incidenti che l’organizzazione classifica come “terrorismo”, vale a dire attacchi con bombe molotov, incendi dolosi, ordigni esplosivi, armi da fuoco, armi bianche e veicoli. Le segnalazioni includono solo occasionalmente altri attacchi a bassa intensità, come il lancio di pietre, quando sono associati a lesioni gravi. Sebbene i dati ISA coprano un ambito geografico che comprende l’intera area geografica di Israele, la stragrande maggioranza degli incidenti registrati si è verificata nella Cisgiordania e nei dintorni di Gerusalemme. Nella figura 2 i ricercatori hanno confrontato questi dati con quelli del Global Terrorism Database (GTD), notando delle discrepanze dovute però anche ad un conteggio non completo ma relativamente ampio di attacchi missilistici da Gaza e al fatto che i dati ISA tendono ad essere più completi di quelli GTD.
Da ultimo, i ricercatori hanno raccolto dati per quel che riguarda la risposta della autorità alle violenze sia ebraiche che arabe come mostrato nella figura 3
Ne hanno tratto un modello di correlazione tra violenza dei coloni e violenza araba alla quale non ha fatto seguito un adeguata risposta delle autorità, che hanno descritto anche graficamente come segue:
Lo studio evidenzia inoltre le conseguenze indesiderate delle dure misure contro la violenza ebraica, in particolare gli ordini di detenzione amministrativa, che potrebbero esacerbare il problema anziché scoraggiarlo. Per i ricercatori ciò che è necessario per rispondere alle violenze ebraiche sono approcci equilibrati e basati sull’evidenze empiriche. Stante le loro informazioni, mentre misure ordinarie di repressione hanno mostrato il potenziale per piccole ma significative riduzioni delle violenze, misure eccezionali di stampo antiterroristico potrebbero non essere altrettanto efficaci nel frenare il vigilantismo e potrebbero di fatto esacerbare la situazione. (30science.com)