(30science.com) – Roma, 31 gen. – Le segnalazioni di attacchi da parte di grandi carnivori sembrano verificarsi con frequenze e in circostanze differenti in base all’area geografica in cui avvengono. Questo curioso risultato emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista Plos Biology, condotto dagli scienziati del MUSE, il Museo delle Scienze di Trento, del Museo Nazionale di Scienze Naturali (CSIC) in Spagna e di una trentina di altri enti di ricerca internazionali. Il team, guidato da Giulia Bombieri e Vincenzo Penteriani, ha raccolto e analizzato oltre cinquemila segnalazioni di aggressioni all’uomo registrati tra il 1950 e il 2019, che hanno visto coinvolte 12 specie di grandi predatori terrestri, appartenenti a tre famiglie di carnivori (Ursidae, Felidae e Canidae).
L’indagine ha evidenziato interessanti differenze negli scenari e nelle frequenze in cui avvengono queste interazioni negative, differenze legate sia alla diversa ecologia delle specie considerate, sia al contesto socioeconomico e ambientale locali. Nell’arco di tempo considerato, riportano gli studiosi, si osserva un incremento nella frequenza di attacchi segnalati, specialmente nei paesi a basso reddito. Nelle zone caratterizzate da redditi medi più elevati, inoltre, le aggressioni da parte dei predatori sembrano verificarsi più comunemente durante le attività ricreative, come l’escursionismo, il campeggio o le passeggiate con i cani, mentre quasi il 90 per cento degli episodi avvenuti nei paesi a basso reddito si sarebbe verificato durante attività di sussistenza, come agricoltura, pesca o pascolo del bestiame. Felidi e canidi, aggiungono gli esperti, sono le specie maggiormente responsabili di attacchi predatori, mentre gli attacchi da parte di orsi sono quasi sempre difensivi, per esempio nei casi in cui questi vengono inavvertitamente sorpresi a distanza ravvicinata, oppure in difesa dii cuccioli o di fonti di cibo. Per ridurre la frequenza di questi incidenti, spiegano gli studiosi, è fondamentale ideare approcci specifici basati non solo sulle specie, ma anche sul contesto socioeconomico delle diverse aree.
Nei paesi ad alto reddito, in particolare, campagne di educazione rivolte a visitatori e residenti sui comportamenti da adottare possono risultare efficaci per ridurre in maniera importante questo rischio. Al contrario, nei paesi a basso reddito, dove la coesistenza con i grandi carnivori è per lo più involontaria e obbligata, le strategie di coesistenza sono sicuramente più complesse. “Con l’aumento della popolazione umana – osserva Penteriani – potrebbe essere difficile implementare queste strategie, per cui è necessario capire come convivere con specie che possono rappresentare una minaccia per l’uomo. Spesso i fattori che scatenano gli attacchi da parte dei grandi carnivori dipendono dalla combinazione di fattori socio-economici ed ecologici locali, e questo implica che le misure necessarie a ridurre il rischio di incidenti devono essere valutate nei diversi contesti”. (30science.com)