Roma – Il Premio Nobel assegnato oggi a Mary E. Brunkow, Fred Ramsdell e Shimon Sakaguchi rappresenta non soltanto un tributo alla scoperta del meccanismo della tolleranza periferica, ossia quel fondamentale processo biologico che consente al sistema immunitario di evitare di aggredire i tessuti dell’organismo stesso, ma costituisce anche un riconoscimento più ampio nei confronti della profonda trasformazione che l’immunologia sta apportando all’intera medicina moderna. Questa disciplina, infatti, negli ultimi decenni ha radicalmente cambiato la nostra comprensione delle malattie e delle modalità con cui esse possono essere curate. Nel commentare l’importante assegnazione del premio, Antonella Viola, rinomata scienziata e specialista di immunologia, nonché professoressa ordinaria di Patologia generale presso il Dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Padova, ha sottolineato il valore rivoluzionario delle scoperte in questo campo, dichiarando: “Di nuovo si dimostra – conclude Viola – come l’immunologia negli ultimi vent’anni sia diventata centrale nella medicina. Grazie alle scoperte dell’immunologia, grazie alle nostre capacità di comprendere i meccanismi attraverso cui funziona il sistema immunitario, noi oggi possiamo curare malattie con strumenti completamente nuovi come l’immunoterapia per i tumori.” Le ricerche condotte dai tre scienziati premiati ruotavano attorno a un interrogativo tanto semplice quanto cruciale: ogni giorno il sistema immunitario umano ci difende da una moltitudine di microrganismi – virus, batteri e altri agenti patogeni – che tentano di penetrare nel nostro corpo. Tuttavia, molti di essi riescono a mascherarsi assumendo caratteristiche simili a quelle delle cellule umane, confondendo così le difese immunitarie. Da qui nasce la domanda fondamentale: come riesce il sistema immunitario a distinguere ciò che deve essere distrutto da ciò che invece deve essere preservato? È proprio per rispondere a questo enigma che Sakaguchi, Brunkow e Ramsdell hanno concentrato le loro ricerche, riuscendo infine a identificare quelle che possono essere considerate le “guardie di sicurezza” del sistema immunitario: le cellule T regolatrici, un tipo di linfociti che svolge la funzione essenziale di impedire alle cellule immunitarie di rivolgere la loro azione contro l’organismo stesso. Nel 1995, Shimon Sakaguchi compì un passo decisivo andando contro le convinzioni più diffuse all’epoca. La maggior parte dei ricercatori, infatti, riteneva che la tolleranza immunitaria derivasse esclusivamente dall’eliminazione, nel timo, delle cellule potenzialmente dannose, un processo noto come tolleranza centrale. Sakaguchi dimostrò invece che la realtà è molto più complessa, riuscendo a scoprire una nuova classe di cellule immunitarie fino ad allora sconosciute, capaci di proteggere il corpo umano dalle malattie autoimmuni. Qualche anno più tardi, nel 2001, Mary Brunkow e Fred Ramsdell effettuarono un’altra scoperta cruciale: studiarono un particolare ceppo di topi che mostrava una vulnerabilità estrema alle patologie autoimmuni e identificarono la causa in una mutazione genetica. Tale mutazione interessava un gene che i due scienziati denominarono Foxp3. Le loro ricerche dimostrarono anche che alterazioni nello stesso gene, nella sua versione umana, sono responsabili di una grave malattia autoimmune chiamata IPEX (Immunodysregulation Polyendocrinopathy Enteropathy X-linked syndrome). Solo due anni più tardi, Sakaguchi riuscì a connettere i fili di queste scoperte, dimostrando che il gene Foxp3 controlla lo sviluppo delle stesse cellule immunitarie da lui identificate nel 1995. Queste cellule, oggi universalmente note come cellule T regolatrici, svolgono un ruolo di supervisione e mantenimento dell’equilibrio del sistema immunitario, assicurando che esso tolleri i propri tessuti e non li consideri erroneamente come nemici da distruggere. Commentando il significato di queste scoperte, Giuseppe Novelli, genetista dell’Università Tor Vergata di Roma, ha dichiarato: “Il lavoro di questi ricercatori – ha commentato Giuseppe Novelli, genetista dell’Università Tor Vergata di Roma – completa il quadro di quelle che sono le capacità del nostro organismo di riconoscere ciò che è estranio, ma soprattutto quello di non riconoscere come estranio ciò che è dentro di noi. E’ questo secondo me – continua – l’aspetto più importante che questi ricercatori hanno messo in evidenza, caratterizzando appunto le strutture che fanno questo e cioè le cellule T. Il futuro della immunologia, unitamente alla genetica, ci porterà allo sviluppo di farmaci straordinari e intelligenti.” Le sue parole riassumono perfettamente l’essenza di queste ricerche: la comprensione dei meccanismi che regolano il delicato equilibrio tra difesa e tolleranza nel sistema immunitario apre prospettive del tutto nuove per la medicina del futuro, ponendo le basi per terapie sempre più mirate, personalizzate e, come dice Novelli, “intelligenti”. (30science.com)