Gianmarco Pondrano d'Altavilla

Lincei, ancora troppo elevato il gap conoscitivo sul pericolo frane

(1 Luglio 2025)

Roma – “Sebbene le conoscenze e le capacità previsionali siano migliorate, la conoscenza dei fenomeni franosi resta incompleta”. Così l’Accademia dei Lincei nel suo Rapporto programmatico, intitolato “Frane: cosa sappiamo e cosa facciamo per difenderci; cosa dovremmo sapere e fare per difenderci meglio”, pubblicato a seguito del convegno tenutosi a Roma il 5 giugno 2025 nell’ambito della XLII Giornata dell’Ambiente. “Negli ultimi 40 anni – si legge nel Rapporto – sono stati fatti progressi notevoli sulle conoscenze e le capacità previsionali delle frane. Sviluppatosi a partire da prototipi realizzati per il Piemonte, l’Umbria, le Marche e l’Emilia-Romagna, con oltre 635.000 frane mappate, l’Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia ha dimostrato come le frane non siano “singolarità” che punteggiano il territorio, ma fenomeni ubiqui che contribuiscono all’evoluzione dei paesaggi. Questo ha ampliato l’obiettivo della difesa del suolo dalla sistemazione di pochi insediamenti localizzati alla pianificazione e gestione territoriale e di bacino. Nello stesso periodo, sono migliorate le capacità previsionali nel breve periodo (da ore a giorni) per frane dovute a eventi meteorologici (piogge intense o prolungate, rapida fusione della neve), ed è migliorata la capacità di prevedere alcune tipologie di frane indotte dai terremoti. Grazie a un generale progresso tecnologico – migliori sensori, strumenti e reti, migliori telecomunicazioni, maggiore capacità di calcolo e di gestione dei dati – nonché all’applicazione di nuove tecnologie, in particolare di telerilevamento – da satellite, da terra – e dell’intelligenza artificiale, sono migliorate le capacità di monitoraggio delle frane. Al contempo, è aumentata la capacità di modellare il comportamento cinematico delle frane, fino ad anticiparne – in alcuni casi – la rottura. Sono state investigate le relazioni fra clima, ambiente e frane e sono aumentate le capacità di modellare la suscettibilità dei territori a franare. Infine, abbiamo oggi stime quantitative del rischio da frana per la popolazione italiana”. A fronte però di questi progressi restano ancora pericolose criticità nel sistema di analisi dei fenomeni franosi: “La previsione della suscettibilità da frana – continuano i Lincei – la probabilità di dove possono avvenire le frane in base alle caratteristiche del territorio – ha fatto progressi notevoli, ma la capacità di previsione spazio-temporale nel medio termine (anni o decenni), cruciale per la pianificazione territoriale e la difesa del suolo, resta inadeguata. Ciò ostacola il disegno di strategie efficaci e sostenibili di adattamento nel contesto dei cambiamenti climatici, ambientali, economici e sociali in atto e attesi. Le previsioni di breve termine (da ore a pochi giorni) di frane pluvio-indotte sono migliorate e sono oggi parte di diversi sistemi operativi. Tuttavia, è ancora limitata la capacità di stimare accuratamente il numero e l’impatto delle frane a seguito di eventi meteorologici (pluviometrici). Anche le previsioni stagionali sono poco affidabili. Ciò limita la potenziale efficacia delle azioni di protezione civile. Nonostante l’evoluzione delle tecnologie di monitoraggio, in situ e da remoto, e in particolare la possibilità di misurare le deformazioni del suolo su scala nazionale, i sistemi di monitoraggio coprono meno dello 0,2 per cento delle frane note. Inoltre, i sistemi di monitoraggio non sono integrati a scala regionale e tantomeno nazionale, riducendo l’efficacia dell’uso sinergico dei sistemi e dei dati. Grazie a maggiori capacità di calcolo, software migliori, dati di monitoraggio più abbondanti, frequenti e accurati, e a una migliore comprensione dei processi fisici (geo-meccanici, idrologici) che governano le frane, la modellazione meccanicistica (fisicamente basata) delle frane è migliorata. Tuttavia, resta difficile definire con precisione il punto e il momento d’innesco delle frane, così come prevedere accuratamente la propagazione, la velocità e il numero delle frane. La carenza di dati geo-meccanici e idrologici limita l’applicazione della modellistica a scala di bacino o nazionale, e la sua integrazione nella valutazione della pericolosità e del rischio da frana. Abbiamo valutazioni quantitative del rischio per la popolazione a scala nazionale e regionale, ma mancano stime affidabili per altri elementi vulnerabili (strutture, infrastrutture, reti, agricoltura, ambiente). Il limite maggiore è la carenza di informazioni sulla vulnerabilità a diverse tipologie di frana dei vari elementi a rischio. Nel contesto dei cambiamenti ambientali, climatici, economici e sociali in atto e attesi, le proiezioni del rischio restano poco affidabili per il disegno e l’implementazione di strategie di mitigazione e adattamento efficaci e sostenibili. Infine, la disponibilità e la condivisione di dati utili allo studio, alla previsione e alla gestione del rischio da frana restano limitate, ostacolando il progresso delle conoscenze e della capacità di analisi, previsione e gestione del rischio”. Dalla consapevolezza di queste criticità – conclude il Rapporto – nasce la necessità di mettere in campo una serie di misure sia nell’analisi dei dati, che nella loro elaborazione e modellazione, sia infine nella gestione del rischio che si integrino con un cambiamento culturale e politico più generale che rendano la comunità del suo complesso sempre più pronta ad affrontare il rischio frane.(30Science.com)

Gianmarco Pondrano d'Altavilla