Gianmarco Pondrano d'Altavilla

La diversità è la chiave per la stabilità degli ecosistemi

(23 Maggio 2025)

Roma – La diversità delle specie all’interno di un ecosistema è la chiave per mantenerlo stabile e resiliente davanti alle continue evoluzioni ambientali del nostro tempo. È quanto emerge da uno studio guidato dall’Università di Helsinki e pubblicato su Ecology Letters. I risultati dello studio mostrano che le comunità naturali diversificate sono più stabili nel tempo rispetto a quelle con meno specie. Ciò è dovuto al fatto che specie diverse rispondono in modo diverso ai cambiamenti ambientali: mentre alcune specie soffrono, altre possono continuare a funzionare e contribuire a mantenere la stabilità della comunità nel suo complesso. I ricercatori hanno anche osservato che i meccanismi associati alla stabilità variano tra i gruppi tassonomici: per alcuni, la stabilità si basa principalmente sul numero di specie, mentre per altri il fattore chiave è la composizione funzionale della comunità e il modo in cui i tratti delle specie si integrano a vicenda. Lo studio si è basato su un set di dati eccezionalmente completo che copre la distribuzione di 900 specie, tra cui uccelli, farfalle e falene, piccoli e grandi mammiferi e fitoplancton di acqua dolce, in Finlandia in un periodo di 20 anni. I ricercatori hanno anche dimostrato che la cosiddetta diversità funzionale è un fattore chiave per la stabilizzazione delle comunità naturali. Ad esempio, la diversità funzionale di una comunità composta da uccelli strettamente insettivori è più ristretta di quella di una comunità composta da uccelli che si nutrono di insetti, bacche e pesci. La minaccia maggiore è rappresentata dalle comunità la cui ricchezza di specie e diversità funzionale sono entrambe limitate: il numero di specie è basso e le specie sono molto simili. In questi casi, la maggior parte delle specie nella comunità è sensibile agli stessi cambiamenti ambientali, rendendola più vulnerabile a cambiamenti, ad esempio nelle risorse alimentari chiave o nelle condizioni abiotiche. “I nostri risultati”, spiega il Dott. Arthur Rodrigues , primo autore dello studio “ci aiutano anche a identificare le comunità particolarmente sensibili ai cambiamenti ambientali, consentendoci di indirizzare le misure di conservazione laddove sono più efficaci nel frenare la perdita di biodiversità e salvaguardare i servizi ecosistemici”. (30Science.com)

Gianmarco Pondrano d'Altavilla