Roma– Il declino della biodiversità globale, accelerato dalle attività umane, non minaccia solo le specie animali ma anche la ricchezza dei loro comportamenti culturali, inclusi l’uso di strumenti e le tradizioni trasmesse tra generazioni. Lo rivela studio congiunto dell’Università di Victoria e dell’Istituto Max Planck per l’antropologia evolutiva, pubblicato su Science. La ricerca evidenzia come la perdita di queste diversità comportamentali comprometta non solo la sopravvivenza delle specie, ma anche la capacità umana di comprendere le origini del comportamento e della cultura umana. I ricercatori hanno analizzato casi emblematici come le scimmie cappuccine che rompono noci e i canti delle balene, dimostrando come tali pratiche rappresentino adattamenti complessi all’ambiente. Questi comportamenti, definiti “culturali” per la loro trasmissione sociale, offrono paralleli con lo sviluppo tecnologico e culturale umano.

Scimmia cappuccina che rompe le noci. Riconoscere il valore delle culture animali potrebbe portare a strategie di conservazione più complete.
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© Tiago Falotico
L’uso di utensili, ad esempio, lascia tracce materiali simili a quelle ritrovate nei siti archeologici di ominidi estinti, fornendo indizi su come le culture umane primitive possano essersi evolute. Lo studio propone l’impiego di strumenti digitali avanzati per documentare e preservare i comportamenti a rischio attraverso scansioni 3D di utensili in pietra utilizzati da primati, per conservarne la morfologia e le tecniche di produzione e registrazioni acustiche di canti e vocalizzazioni, analizzate tramite algoritmi di intelligenza artificiale per decifrarne struttura e funzione.

“Laboratorio” di scimpanzé con strumenti di pietra.
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© Lydia Luncz
Queste metodologie non solo salvaguardano dati preziosi per la ricerca futura, ma supportano anche strategie di conservazione basate sulla protezione attiva delle tradizioni animali. La drastica riduzione delle popolazioni animali limita la diversità comportamentale, riducendo la capacità delle specie di adattarsi a cambiamenti ambientali rapidi. “Proteggere i comportamenti culturali è cruciale quanto preservare la diversità genetica”, ha detto Ammie Kalan, dell’Università di Victoria. “I primati non umani sono specchi della nostra storia evolutiva, la loro scomparsa cancellerebbe capitoli fondamentali della comprensione umana”, ha aggiunto Lydia Luncz, dell’Istituto Max Planck per l’antropologia evolutiva. Secondo gli scienziati, riconoscere il valore delle culture animali non è solo una questione etica, ma un imperativo scientifico; integrare la protezione dei comportamenti culturali negli sforzi di conservazione potrebbe migliorare la resilienza degli ecosistemi e offrire nuove prospettive sull’evoluzione umana. Lo studio sollecita una collaborazione transdisciplinare tra etologi, conservazionisti e archeologi, ponendo le basi per un approccio olistico alla crisi della biodiversità. (30Science.com)