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L’ormone adrenomedullina un possibile bersaglio per la cura del diabete di tipo 2

(7 Febbraio 2025)

Roma  – L’ormone adrenomedullina, responsabile della resistenza sistemica all’insulina, potrebbe essere un potenziale nuovo bersaglio terapeutico per contrastare l’insorgenza o comunque per controllare forme di diabete di tipo 2 associate all’obesità. Il suggerimento arriva dai risultati di uno studio sperimentale condotto su topi dal Max Planck Institute for Heart and Lung Research, dal First Affiliated Hospital of Xi’an Jiaotong University Cardiopulmonary Institute (CPI) dal Goethe University Frankfurt, German Center for Cardiovascular Research (DZHK), pubblicato su Science, in cui si è osservato che bloccando l’azione dell’ormone adrenomedullina che nella sua normale attività interrompe le segnalazioni dell’insulina, l’ormone che regola la quantità di glucosio nel sangue nelle cellule dei vasi sanguigni, è possibile ripristinare la funzione dell’insulina e contrastare la resistenza sistemica verso l’insulina stessa. Il controllo del glucosio è cruciale e centrale nelle forme di diabete, malattia che ad oggi rappresenta una delle principali cause globali di malattia, mortalità e spese sanitarie, è in gran parte dei casi dipendenti proprio dalla resistenza all’insulina indotta dall’obesità e dal diabete mellito di tipo 2. La resistenza all’insulina coinvolge principalmente alcune cellule metaboliche di primaria importanza, ad esempio quelle del muscolo scheletrico, del tessuto adiposo e del fegato. Anche le cellule endoteliali all’interno dei vasi sanguigni esprimono i recettori dell’insulina, pertanto si ritiene che la segnalazione insulinica endoteliale svolga ugualmente un ruolo cruciale nella regolazione metabolica, come confermerebbero ricerche precedenti in cui la resistenza insulinica endoteliale sembra contribuire alla resistenza insulinica sistemica del diabete di tipo 2. Restano tuttavia da chiarire i meccanismi alla base della resistenza insulinica endoteliale, così come il loro ruolo nel diabete di tipo 2. L’attuale studio avrebbe evidenziato in topi obesi, ma anche nell’uomo, elevati livelli plasmatici dell’ormone adrenomedullina e del fattore del complemento H (CFH), una proteina che potenzia gli effetti dell’adrenomedullina. Quindi in funzione di questi dati si potrebbe supporre che nelle cellule endoteliali umane, l’adrenomedullina inibisca la segnalazione insulinica innescando una cascata di eventi che disattivano il recettore dell’insulina. Ciò significherebbe che livelli più elevati di adrenomedullina e CFH nell’obesità contribuiscano alla resistenza insulinica nei vasi sanguigni, mentre lo studio fa osservare che topi magri trattati con adrenomedullina sviluppano resistenza all’insulina e scarso controllo del glucosio, similmente a quanto accade nell’obesità. Diversamente, questo effetto non si osserverebbe in topi privati dei recettori dell’adrenomedullina nei vasi sanguigni, confermando che l’ormone agisce tramite questi stessi recettori. Inoltre, il blocco della segnalazione dell’adrenomedullina sembra apportare ulteriori benefici, quali il miglioramento della funzione dell’insulina nei vasi sanguigni, l’aumento del flusso sanguigno muscolare, prevenendo anche la resistenza all’insulina in topi obesi. Queste serie di effetti confermerebbero, quindi, il ruolo centrale di questo ormone nella disfunzione metabolica correlata all’obesità.(30Science.com)

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