Francesca Morelli

Tumori: pesci zebra trasformati in “avatar” della malattia per terapie

(7 Gennaio 2025)

Roma – I pesci zebra potrebbero essere dei potenziali avatar per la definizione rapida di cure personalizzate contro il cancro. Sono ancora una volta questi piccoli pesci di acqua dolce, caratterizzati da squame zebrate, da cui il loro nome, i protagonisti di un nuovo studio portoghese, della Fondazione Champalimaud, pubblicato su Science che promette di fornire nuove informazioni nella cura di patologie oncologiche. Per la prima volta pazienti arruolati in un trial clinico della turata di 5 anni, al via in questi giorni, verranno sottoposti a una terapia precedentemente testata su embrioni di pesce zebra (zebra fish) impiantati con cellule tumorali prelevate dagli stessi pazienti. Si tratta di un approccio altamente innovativo che si basa su evidenze di precedenti studi retrospettivi che avevano identificato gli zebra fish come tester di terapie di successo contro diverse tipologie di tumori, se trattati tempestivamente. I ricercatori, guidati da Rita Fior, esperta in biologia dello sviluppo, intendono verificare se quanto osservato negli zebra fish sia efficace anche nell’uomo. Sono in atto molteplici studi attenzionati a cercare strategie in grado di predire la risposta a un trattamento che non siano strettamente legate a ricerche sperimentali e modelli animali, “avatar” del cancro tra cui topi, moscerini della frutta e colture cellulari, sono stati sfruttati già in passate occasioni come banchi di prova per la definizione di trattamenti personalizzati, ma tutti presentavano alcuni limiti e criticità che i ricercatori si augurano possano essere superati dagli zebra fish. “Confidiamo nell’alto valore predittivo di questi pesci”, ha dischiarato Leonard Zon, esperto in biologia delle cellule staminali, dell’Harvard Medical School (Stati Uniti). Alcune caratteristiche quali la genetica, il metabolismo e il potenziale di crescita di un tumore guidano oggi nella scelta e personalizzazione dei trattamenti e oggi la ricerca offre più opzioni disponibili, il rischio è che i pazienti vengano sottoposti a diversi trattamenti, aumentando quindi il livello di tossicità, prima di arrivare a definire la terapia più efficace e adeguata e senza la garanzia che le analisi genomiche di un tumore siano sempre garanzie di riposta a un trattamento. Lo studio degli avatar di zebra fish potrebbe rappresentare una valida alternativa, secondo i ricercatori portoghesi che isolano le cellule tumorali da un paziente, le marcano con fluorescenza in laboratorio e le trapiantano in embrioni trasparenti di pesce zebra. Questo processo consente quindi di aggiungere farmaci antitumorali all’acqua dei pesci o di rilasciare dosi di radiazioni ed osservare le reazioni delle cellule tumorali fluorescenti e quindi valutare se i tumori nell’uomo sia ugualmente sensibili, oppure no, agli stessi trattamenti. O ancora gli avatar, dimostrando l’inefficacia di un trattamento, potrebbero risparmiare ai pazienti terapie potenzialmente tossiche e inutili. Studi condotti dal gruppo della dottoressa Fior nel 2017 sembrerebbero avere dimostrato la capacità degli avatar di zebra fish di predire la risposta chemioterapica in quattro pazienti su cinque con tumore del colon-retto e in uno studio del 2024 su Nature Communications avrebbero descritto la creazione di avatar per 55 pazienti poi entrambi (pesci e pazienti) trattati con la medesima terapia; in 50 casi il pesce sembrerebbe essere stato “predittivo” dell’esito del trattamento. Inoltre gli avatar potrebbero rivelare caratteristiche chiave dei tumori, come la probabilità di metastatizzare. Ulteriori studi di ricerca, condotti da altri laboratori, dimostrerebbero altre importanti potenzialità degli avatar di pesce zebra, ad esempio la capacità di competere con alcuni rivali, tra cui cellule tumorali prelevate da pazienti e coltivate nella piastra di Petri, un particolare recipiente usato in ambito di ricerche di biologia, dando risultati positivi; in uno studio della Florida International University, pubblicato nel 2024 su Nature Medicine, questo approccio avrebbe fornito in soli 9 giorni la riposta terapeutica in tumori ematologici (del sangue) e in 10 giorni per tumori solidi. Anche i moscerini della frutta potrebbero fornire indicazioni sulla risposta terapeutica, grazie a una tecnica sviluppata dall’Università di Glasgow, Scozia, che prevede il trasferimento di alcune mutazioni di un umano in una larva di moscerino della frutta modificata geneticamente, così da potere testare farmaci efficaci nel bloccare le mutazioni. Questo approccio avrebbe consentito di allevare in tempo molto rapidi 400.000 avatar per ogni paziente da una singola larva, quindi testare un’ampia gamma di trattamenti, dando buoni risultati in due pazienti, uno con un raro tumore alle ghiandole salivari e uno con cancro colorettale metastatico; in entrambi i casi le nuove combinazioni di farmaci avrebbero bloccato temporaneamente la crescita del tumore, ma non indotto la guarigione della malattia. Anche gli avatar dei topi sono stati sfruttati in alcune sperimentazioni cliniche, di cui si è ancora in attesa dei risultati. Rispetto agli altri modelli, gli avatar di zebra fish fornirebbero risposte in tempi più rapidi, in quanto più simili all’uomo rispetto alle colture cellulari, con il vantaggio di essere molto più economici da allevare rispetto ai topi, di avere embrioni più piccoli e trasparenti, quindi più facili da analizzare e per ricercare, ad esempio, metastasi nei tessuti. Il team della dottoressa Fior in particolare incentrerà il lavoro di ricerca sull’analisi delle cellule tumorali del liquido ascitico, quello che forma nell’addome in pazienti con cancro metastatico al seno o alle ovaie, di norma drenato come parte del trattamento. Le cellule verranno impiantate negli embrioni di pesce con lo scopo di testare la combinazione di farmaci più efficace, pertanto metà dei pazienti verranno trattati con farmaci suggerite dalle evidenze degli zebra fish e metà con terapie secondo protocollo clinico. “Lo studio potrebbe essere rivoluzionario”, ha concluso Kathleen Claes, genetista molecolare alla Ghent University, Belgio, “qualora si dimostrasse il valore aggiunto soprattutto in pazienti in cui sia difficile definire la migliore opzione terapeutica”. (30Science.com)

Francesca Morelli