Gianmarco Pondrano d'Altavilla

L’inquinamento aumenta rischio di coaguli nelle vene

(12 Dicembre 2024)

Roma – Una esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico comporta un rischio maggiore di coaguli di sangue che possono formarsi nelle vene profonde e che, se non curati, possono bloccare il flusso sanguigno e causare gravi complicazioni e persino la morte. E’ quanto emerge da uno studio finanziato dai National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti e pubblicato su Blood. La ricerca ha incluso 6.651 adulti statunitensi seguiti per una media di 17 anni tra il 2000 e il 2018. I partecipanti vivevano presso sei principali aree metropolitane: New York, Baltimora, Chicago, Los Angeles, Minneapolis e Winston-Salem, North Carolina. Durante lo studio, 248 adulti, il 3,7 per cento del campione dello studio, hanno sviluppato coaguli di sangue nelle vene profonde che hanno richiesto cure ospedaliere. Il rischio di sviluppare questi coaguli era dal 39 per cento a più del doppio più alto del normale in relazione all’esposizione a lungo termine a diversi tipi di inquinanti atmosferici. I problemi legati ai coaguli di sangue nelle vene profonde, noti collettivamente come tromboembolia venosa (TEV), includono la trombosi venosa profonda , che si verifica quando un coagulo di sangue si forma in una vena profonda delle gambe, delle braccia o di un organo interno, e l’embolia polmonare , che si verifica quando un coagulo di sangue si stacca da una vena profonda e si sposta verso i polmoni. Gli inquinanti che hanno aumentato il rischio di queste patologie includevano le minuscole particelle di inquinamento atmosferico pari o inferiori a 2,5 micrometri, gli ossidi di azoto e il biossido di azoto. Rispettivamente hanno innalzato il rischio del 39 per cento del 121 per cento e del 174 per cento. La TVE colpisce fino a 900.000 americani ogni anno. Molti casi si verificano dopo un intervento chirurgico, ma altri fattori, tra cui età, lunghi periodi di inattività, malattie cardiache, gravidanza e genetica, possono aumentare i rischi. (30Science.com)

Gianmarco Pondrano d'Altavilla