Roma – Un gruppo di studiosi afferma che sia essenziale che venga utilizzato un nuovo “indice di resilienza” invece che il PIL per valutare i successi di un Paese. Affermano che il PIL ignora le implicazioni più ampie dello sviluppo e non fornisce alcuna informazione sulla nostra capacità di vivere entro lo “spazio operativo sicuro” e naturale del nostro pianeta. Gli autori hanno espresso questo convincimento in uno studio pubblicato su One Earth. Il team è formato da ricercatori dell’Università di Southampton, dell’UCL e dell’Università di East Anglia. “La resilienza riguarda la capacità di un sistema di prepararsi, resistere, recuperare e adattarsi ai disturbi per funzionare correttamente”, afferma il professor Ian Townend, autore principale dello studio dell’Università di Southampton. “Ciò ci invita ad adottare una visione più olistica, che tenga conto sia delle componenti umane che di quelle naturali di sistemi complessi che si estendono attraverso i domini ambientali, sociali ed economici”. Il Prodotto Interno Lordo (PIL) è stato adottato per guidare il progresso quando la Grande Depressione degli anni ’30 ha portato alla necessità di crescita economica. Da allora, è diventato uno degli indicatori politici più significativi. Ma cresce la preoccupazione per il nostro utilizzo delle risorse su un pianeta finito e per le crescenti e interconnesse pressioni dell’inquinamento, della perdita di biodiversità e del cambiamento climatico. Ciò ha spinto gli scienziati a prendere in considerazione uno “spazio operativo sicuro” che garantisca all’umanità un’adeguata base sociale, pur rimanendo entro limiti ecologici sostenibili (noti anche come confini planetari). “Mentre rggiungiamo i confini planetari, il numero di organismi che un ecosistema può supportare si riduce”, afferma il Prof. Townend. “Allo stesso modo, se non affrontiamo la disuguaglianza, ci imbarchiamo in conflitti o subiamo grandi disastri, le nostre fondamenta sociali si indeboliscono”. I ricercatori ritengono che un indice di resilienza possa aiutare i decisori politici a orientare la rotta in questo spazio operativo sicuro. Il professor Jon French, dell’UCL coautore dello studio, afferma: “Spesso ciò che possiamo misurare è ciò che viene fatto, quindi è importante fornire una misura quantitativa della resilienza su scala locale, nazionale e globale. Necessariamente, una tale misura incorporerà giudizi di valore. Invece di vedere questo come uno svantaggio, questo può consentire di catturare opinioni diverse all’interno di una società. Aiuta inoltre i decisori a considerare i compromessi intrinseci quando si ha a che fare con sistemi che si estendono attraverso i domini sociale, ambientale ed economico.” Nel documento, i ricercatori forniscono due esempi di come un indice di resilienza potrebbe essere utilizzato su scala nazionale e globale. L’Università di Southampton ha sviluppato un modello per indicizzare la resilienza delle comunità costiere dell’Inghilterra . Il modello consente ai decisori di adattare il peso relativo dato a diverse priorità, come la salute umana, i danni economici o la perdita di habitat. Ciò significa che le parti interessate, come gli enti locali, le aziende o le comunità, possono influenzare il modo in cui la resilienza viene quantificata in base alle loro esigenze specifiche, garantendo che le decisioni riflettano una visione equilibrata degli interessi contrastanti. Il team ha applicato un metodo simile su scala globale utilizzando set di dati esistenti . Hanno mappato misure di performance biofisiche e sociali per indicizzare la resilienza di 132 paesi durante il 1992 e il 2015. In questo esempio illustrativo, l’indice globale ha rivelato una tendenza al progresso delle misure sociali a scapito delle misure biofisiche della resilienza. Il team ritiene che tali modelli potrebbero migliorare o addirittura sostituire i tradizionali parametri di misurazione delle prestazioni, ma ritiene che siano necessari ulteriori sviluppi. “Dobbiamo riflettere urgentemente su come mobilitare un cambiamento globale nelle prospettive”, afferma il professor Robert Nicholls, un altro coautore del documento del Tyndall Centre for Climate Change Research presso l’Università di East Anglia. “Ciò significa passare dall’attenzione sul PIL a misure che monitorano le sfide che affrontiamo per soddisfare i bisogni della società e riconoscere che questi sono indissolubilmente legati ai bisogni di tutta la vita sulla Terra”.(30Science.com)