Roma – I cambiamenti cerebrali osservati nei consumatori di cannabis potrebbero non dipendere dall’assunzione della sostanza. Lo suggerisce uno studio, pubblicato sul British Medical Journal Mental Health, condotto dagli scienziati dell’Università di Oxford e dell’Università di Yale. Il team, guidato da Saba Ishrat, ha utilizzato la randomizzazione mendeliana, una tecnica che utilizza varianti genetiche come proxy per un particolare fattore di rischio (in questo caso l’uso o la dipendenza da cannabis), per ottenere prove genetiche a supporto dell’idea che gli effetti cerebrali siano una conseguenza dell’assunzione della sostanza. L’uso di cannabis nell’arco della vita, spiegano gli esperti, è stato associato a diversi cambiamenti nella struttura e nella funzione del cervello in età avanzata, eppure queste alterazioni potrebbero non essere legate alla marijuana. I ricercatori precisano, però, che sarà necessario condurre ulteriori approfondimenti. L’uso della canapa è aumentato significativamente dopo la sua legalizzazione per scopi medici e ricreativi. Anche se le conseguenze a lungo termine non sono ancora del tutto chiare, l’utilizzo intensivo della sostanza è stato associato a impatti deleteri sulle prestazioni neurocognitive, sulla struttura e sulla funzione del cervello. Nell’ambito dell’indagine, gli studiosi hanno preso in considerazione i dati relativi a 15.896 individui registrati presso la Biobanca britannica, per cui erano disponibili le informazioni di profilazione genetica e di imaging cerebrale. I partecipanti sono stati suddivisi in base al consumo di cannabis, che andava da 0 a oltre 100 volte nel corso della propria esistenza. I ricercatori hanno valutato anche peso corporeo, età alla prima scansione, genere sessuale, stato occupazionale, consumo di alcol, pressione sanguigna e una serie di altri parametri potenzialmente influenti. Stando a quanto emerge dall’indagine, l’uso di cannabis è stato associato a molteplici misure di cambiamenti nella struttura e nella funzione del cervello. I partecipanti che avevano fatto uso di cannabis mostravano una minore integrità della materia bianca, un costituente del cervello importante per la funzione cognitiva. In particolare, gli effetti più rilevanti erano evidenti nel corpo calloso, la principale via di comunicazione tra il lato sinistro e quello destro del cervello. I consumatori abituali presentavano inoltre una connettività neuronale a riposo più debole nelle regioni cerebrali che costituiscono la rete della modalità predefinita, che si ritiene sia attiva durante le distrazioni mentali o i sogni ad occhi aperti. Queste aree del cervello sono densamente popolate di recettori dei cannabinoidi, precisano gli scienziati. Sono state però riscontrate alcune differenze notevoli tra i generi sessuali: mentre negli uomini sono state osservate associazioni significative in sei specifiche regioni cerebrali, nelle donne le osservazioni erano distribuite su 24 strutture cerebrali e regioni funzionali. La maggior parte di queste associazioni si presentava nell’integrità della sostanza bianca, il che suggerisce che l’uso di cannabis potrebbe provocare effetti diversi in base al genere sessuale. “Gli utilizzatori di cannabis – spiegano gli studiosi – presentavano differenze significative nella struttura e nella funzione del cervello, in modo più marcato per i marcatori di minore integrità della microstruttura della materia bianca. Nonostante l’associazione, però, le analisi genetiche non hanno trovato alcun supporto per le relazioni causali alla base di questi dati. È possibile, tuttavia, che alcune variabili non considerate abbiano giocato un ruolo importante nei risultati osservati, ad esempio l’alimentazione o l’assunzione di determinati farmaci”. Gli autori riconoscono inoltre il limite dell’uso dei dati della biobanca britannica, che riguarda prevalentemente individui caucasici e sani. “I nostri risultati – concludono – devono essere interpretati con attenta considerazione. Sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere gli effetti dell’uso massiccio di cannabis in questa popolazione, comprese considerazioni sulla potenza e informazioni correlate per informare la politica pubblica”.(30Science.com)
Valentina Di Paola
Cannabis e cambiamenti cerebrali, potrebbero non essere collegate
(30 Ottobre 2024)
Valentina Di Paola
Classe ’94, cresciuta a pane e fantascienza, laureata in Scienze della comunicazione, amante dei libri, dei gatti, del buon cibo, dei giochi da tavola e della maggior parte di ciò che è anche solo vagamente associato all’immaginario nerd. Collaboro con 30science dal gennaio 2020 e nel settembre 2021 ho ottenuto un assegno di ricerca presso l’ufficio stampa dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio nazionale delle ricerche. Se dovessi descrivermi con un aggettivo userei la parola ‘tenace’, che risulta un po’ più elegante della testardaggine che mi caratterizza da prima che imparassi a usare la voce per dar senso ai miei pensieri. Amo scrivere e disegnare, non riesco a essere ordinata, ma mi piace pensare che la mia famiglia e il mio principe azzurro abbiano imparato ad accettarlo. La top 3 dei miei sogni nel cassetto: imparare almeno una lingua straniera (il Klingon), guardare le stelle più da vicino (dal Tardis), pilotare un velivolo (il Millennium Falcon).