Lucrezia Parpaglioni

In Tibet le donne si sono evolute per riprodursi in assenza di ossigeno

(24 Ottobre 2024)

Roma – Le donne tibetane si sono evolute per vivere e riprodursi in un ambiente estremamente povero di ossigeno. Lo rivela un nuovo studio condotto da Cynthia Beall, Distinguished University Professor Emerita presso la Case Western Reserve University, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, PNAS. “I risultati – ha detto Beall – non solo sottolineano la straordinaria resilienza delle donne tibetane, ma forniscono anche preziose informazioni sui modi in cui gli esseri umani possono adattarsi in ambienti estremi”. Tale ricerca offre anche indizi sullo sviluppo umano, su come potremmo rispondere alle future sfide ambientali e sulla patobiologia delle persone con malattie associate all’ipossia a tutte le altitudini”, ha continuato Beall. “Capire come si adattano popolazioni come queste, ci consente di comprendere meglio i processi dell’evoluzione umana”, ha aggiunto Beall. I ricercatori hanno studiato 417 donne tibetane di età compresa tra 46 e 86 anni, che vivono tra i 4 e i 5.000 metri sopra il livello del mare, nell’Alto Mustang, in Nepal, sul margine meridionale dell’altopiano tibetano. Gli scienziati hanno raccolto dati sulle storie riproduttive delle donne, sulle misurazioni fisiologiche, sui campioni di DNA e sui fattori sociali, con l’intento di capire come l’apporto di ossigeno in relazione all’ipossia ad alta quota, bassi livelli di ossigeno nell’aria e nel sangue, influenzino il numero di nati vivi, una misura fondamentale dell’idoneità evolutiva. I ricercatori hanno scoperto che le donne che avevano avuto più figli avevano un set unico di caratteristiche del sangue e del cuore che aiutavano i loro corpi a fornire ossigeno. Le donne che segnalavano il maggior numero di nascite vive avevano livelli di emoglobina, la molecola che trasporta l’ossigeno, vicini alla media del campione, ma la loro saturazione di ossigeno era più alta, consentendo un trasporto più efficiente di ossigeno alle cellule senza aumentare la viscosità del sangue; più denso è il sangue, maggiore è lo sforzo sul cuore. “Questo è un caso di selezione naturale in corso”, ha sottolineato Beall, anche Sarah Idell Pyle Professor of Anthropology dell’università. “Le donne tibetane si sono evolute in un modo che bilancia le esigenze di ossigeno del corpo senza sovraccaricare il cuore”, ha evidenziato Beall. Il gruppo di ricerca interdisciplinare di Beall, che includeva i collaboratori, Brian Hoit e Kingman Strohl , della Case Western Reserve School of Medicine , e altri ricercatori statunitensi e internazionali, ha condotto il lavoro sul campo nel 2019. Il gruppo di ricerca ha lavorato a stretto contatto con le comunità locali nell’Himalaya nepalese, assumendo donne locali come assistenti di ricerca e collaborando con i leader della comunità. Un tratto genetico da loro studiato probabilmente ha avuto origine dai Denisova, che vissero in Siberia circa 50.000 anni fa; i loro discendenti migrarono in seguito sull’altopiano tibetano. Il tratto è una variante del gene EPAS1 che è esclusivo delle popolazioni indigene dell’altopiano tibetano e regola la concentrazione di emoglobina. Altri tratti, come un maggiore flusso sanguigno ai polmoni e ventricoli cardiaci più larghi, hanno ulteriormente migliorato l’apporto di ossigeno. Questi tratti hanno contribuito a un maggiore successo riproduttivo, offrendo informazioni su come gli esseri umani si adattano a livelli di basso ossigeno nell’aria e nei loro corpi per tutta la vita. (30Science.com)

Lucrezia Parpaglioni
Sono nata nel 1992. Sono laureata in Media Comunicazione digitale e Giornalismo presso l'Università Sapienza di Roma. Durante il mio percorso di studi ho svolto un'attività di tirocinio presso l'ufficio stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Qui ho potuto confrontarmi con il mondo della scienza fatto di prove, scoperte e ricercatori. E devo ammettere che la cosa mi è piaciuta. D'altronde era prevedibile che chi ha da sempre come idolo Margherita Hack e Sheldon Cooper come spirito guida si appassionasse a questa realtà. Da qui la mia voglia di scrivere di scienza, di fare divulgazione e perché no? Dimostrare che la scienza può essere anche divertente.