Roma – Le strategie di controllo globale volte a contrastare la diffusione dell’influenza aviaria da mammifero a mammifero in diverse specie, non stanno avendo esiti positivi. A lanciare l’allarme una ricerca condotta dal Pirbright Institute, riportata su Nature. I ricercatori hanno analizzato se i focolai negli allevamenti di animali da pelliccia europei, nei mammiferi marini sudamericani e nel bestiame da latte degli Stati Uniti potrebbero estendersi agli esseri umani. Guidati dallo specialista di influenza zoonotica, Thomas Peacock, gli scienziati hanno valutato come i recenti cambiamenti nell’ecologia e nell’evoluzione molecolare del virus H5N1 negli uccelli selvatici e domestici aumentino le opportunità di diffusione ai mammiferi. I ricercatori hanno inoltre valutato i vari percorsi evolutivi che potrebbero trasformare il virus dell’influenza H5N1 a trasmissione animale in un virus pandemico umano. “I virus dell’influenza A, IAV, hanno causato più pandemie globali documentate nella storia dell’uomo rispetto a qualsiasi altro patogeno. “Storicamente, i suini sono considerati ospiti intermedi ottimali che aiutano i virus dell’influenza aviaria a adattarsi ai mammiferi prima di saltare all’uomo”, ha detto Peacock, che studia le cause dell’attuale virus dell’influenza aviaria H5N1. “Tuttavia, l’ecologia alterata dell’H5N1 ha aperto la porta a nuovi percorsi evolutivi”, ha continuato Peacock. La revisione evidenzia le potenziali lacune nei meccanismi di controllo, tra cui la riluttanza a utilizzare le moderne tecnologie di vaccino e sorveglianza e la scarsità di dati sulla trasmissione dell’H5N1 tra le mucche e all’uomo negli allevamenti statunitensi. Mentre le precedenti generazioni di allevatori statunitensi avevano debellato l’afta epizootica condividendo rapidamente i dati epidemiologici, gli autori ritengono che mesi di dati mancanti abbiano lasciato al buio ricercatori, veterinari e politici. “Negli Stati Uniti, l’H5N1 è una malattia soggetta a notifica nel pollame, ma non nei mammiferi”, ha spiegato Peacock. “Il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti richiede il test H5N1 solo per i bovini in lattazione prima della movimentazione interstatale”, ha dichiarato Peacock. “Le pratiche attuali per i test sull’H5N1 nella fauna selvatica si concentrano sulle carcasse e non sul monitoraggio degli animali vivi, dando la possibilità alle varianti dell’H5N1 di diffondersi silenziosamente senza essere individuate”, hanno osservato gli autori.“Ciò che tiene svegli gli scienziati è la possibilità che catene di trasmissione invisibili si diffondano silenziosamente attraverso le baracche dei lavoratori agricoli, le stalle dei suini o i Paesi in via di sviluppo, evolvendo sotto il radar perché i criteri di analisi sono ristretti, le autorità governative sono timorose o le risorse sono scarse”, ha notato Peacock. Un processo evolutivo di “riassortimento genomico” in virus con genomi segmentati sta guidando l’epidemia panzootica globale. Quando due o più virus co-infettano un singolo ospite, possono scambiarsi interi segmenti durante la replicazione del genoma per creare nuovi ibridi. Si pensa che il riassortimento tra l’H5N8 e i virus dell’influenza aviaria a bassa patogenicità, LPAI, che ha generato il virus panzootico H5N1 nelle Americhe si sia verificato in Europa o in Asia centrale intorno al 2020, infettando mammiferi marini sudamericani e bovini da latte statunitensi. Secondo gli autori, la prospettiva che l’H5N1 diventi assiduamente presente in Europa e nelle Americhe rappresenta un punto di svolta per l’influenza aviaria ad alta patogenicità, HPAI. “Sono necessarie nuove strategie di controllo, tra cui la vaccinazione”, ha affermato Peacock. “I vaccini antinfluenzali autorizzati per il pollame riducono il carico della malattia, ma non prevengono l’infezione e hanno vari gradi di successo”, ha continuato Peacock. “Sono disponibili scorte di vaccino H5 antigenicamente correlate ai virus circolanti e potrebbero essere prodotte su scala utilizzando piattaforme di mRNA se l’H5N1 iniziasse a diffondersi nell’uomo”, hanno evidenziato gli autori. “La gravità di una futura pandemia di H5N1 rimane poco chiara: le recenti infezioni umane da H5N1 hanno un tasso di mortalità dei casi sostanzialmente inferiore rispetto alla precedente epidemia di H5N1 in Asia, dove la metà delle persone con infezioni riportate è deceduta”, hanno aggiunto i ricercatori. “La mancanza di gravità nei casi statunitensi potrebbe essere dovuta all’infezione contratta attraverso la via oculare, piuttosto che alla polmonite virale nei polmoni”, hanno precisato gli scienziati. “Le persone più anziane sembrano avere un’immunità parziale all’H5N1 dovuta all’esposizione infantile, mentre le persone più giovani, nate dopo la pandemia di H3N2 del 1968, potrebbero essere più suscettibili a malattie gravi in una pandemia di H5N1”, hanno concluso gli autori. (30Science.com)
Valentina Arcovio
Le strategie di controllo per l’influenza aviaria sono inefficaci
(24 Settembre 2024)
Valentina Arcovio