Roma – Nelle profondità del Mar Artico esistono dei microbi che potrebbero rappresentare promettenti candidati per lo sviluppo di medicinali antibiotici. Lo suggerisce uno studio, pubblicato sulla rivista Frontiers in Microbiology, condotto dagli scienziati dell’Università di Helsinki. Il team, guidato da Päivi Tammela, ha scoperto un composto che inibisce la virulenza dell’Escherichia coli enteropatogeno (EPEC), e un composto che invece ne ostacola la crescita. Gli antibiotici, spiegano gli esperti, rappresentano il perno della medicina moderna, che proteggono dal rischio di infezioni pericolose in caso di ferite, interventi o contaminazioni di vario tipo. Tuttavia, sono sempre più numerosi i casi di organismi e malattie resistenti agli antibiotici, per questo è fondamentale individuare nuove sostanze efficaci. Attualmente, riportano gli studiosi, il 70 per cento di tutti gli antibiotici in uso sono stati derivati da actinobatteri presenti nel terreno, ma la maggior parte degli ambienti sulla Terra devono ancora essere esplorati. Nell’ambito del lavoro, gli studiosi hanno individuato degli actinobatteri dell’Oceano Artico che potrebbero inibire la crescita e la diffusione dell’E. Coli. Il gruppo di ricerca ha sviluppato una nuova serie di metodi che possono testare l’effetto antivirulente e antibatterico di centinaia di composti sconosciuti simultaneamente. Gli scienziati hanno preso di mira un ceppo specifico dell’agente patogeno che causa diarrea grave nei bambini al di sotto dei cinque anni. I composti testati sono stati derivati da quattro specie di actinobatteri, isolati da invertebrati campionati nel Mar Artico al largo delle Svalbard durante una spedizione della nave da ricerca norvegese “Kronprins Haakon”, avvenuta nell’agosto 2020. Ogni frazione virale è stata testata in vitro, su un modello dell’E. Coli aderente a cellule tumorali del colon-retto. L’analisi ha rivelato due composti precedentemente sconosciuti con una forte attività antibatterica: T091-5, del genere Rhodococcus, e T160-2, del genere Kocuria. Queste sostanze, riportano gli autori, hanno mostrato due tipi complementari di attività biologica, inibendo la formazione di strutture necessarie alla contaminazione dell’ospite e il legame utilizzato per riprogrammare i processi intracellulari. tecniche analitiche avanzate, gli autori hanno stabilito che il composto attivo di T091-5 era molto probabilmente un fosfolipide: una classe di molecole contenenti fosforo grasso che svolgono ruoli importanti nel metabolismo cellulare. “Nei prossimi step – conclude Tammela – cercheremo di ottimizzare le condizioni di coltura per la produzione del composto e di isolare quantità sufficienti di ciascuna opzione ottenuta, così da poter indagare separatamente le varie strutture”. (30Science.com)
Valentina Arcovio
Nel Mar Artico potenziali candidati per farmaci antibiotici
(30 Agosto 2024)
Valentina Arcovio