Roma – I nuovi farmaci progettati per rallentare la progressione della malattia di Alzheimer non faranno la differenza e non serviranno ad alleviare il peso della demenza a livello nazionale. Queste, in estrema sintesi, le conclusioni di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Cambridge. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association. I ricercatori hanno affermato che, nonostante l’entusiasmo suscitato da farmaci come il lecanemab e il donanemab, è probabile che questi possano comportare un piccolo miglioramento nei sintomi dell’Alzheimer, e solo nei pazienti nelle fasi iniziali della malattia. Gli studiosi hanno aggiunto che un potenziale lancio dei farmaci potrebbe “comportare risorse considerevoli” che “saranno estremamente difficili da fornire ai pazienti anche per i sistemi sanitari meglio finanziati”. Questi farmaci, noti come immunoterapie amiloidi, interagiscono con il sistema immunitario per eliminare l’accumulo di una proteina dannosa, l’amiloide, dal cervello delle persone affette da Alzheimer in fase iniziale. Si pensa che queste proteine interferiscano con i messaggi inviati tra le diverse parti del cervello, provocando sintomi che compromettono la memoria e l’indipendenza. Diversi farmaci immunoterapici anti-amiloide, come il lecanemab e il donanemab, sono già stati approvati negli Stati Uniti e sono attualmente in fase di valutazione per l’approvazione nel Regno Unito da parte delle autorità di regolamentazione dei farmaci. Tuttavia, nel nuovo studio i ricercatori hanno affermato che le prove attuali non chiariscono se l’immunoterapia amiloide “possa mai ridurre significativamente la morbilità della demenza su larga scala nella popolazione”. Gli studiosi hanno anche sostenuto che i risultati ottenuti dai soggetti coinvolti nelle sperimentazioni potrebbero non essere applicabili ai pazienti affetti da Alzheimer con forme più gravi della malattia. “Se approvati, è probabile che i farmaci siano rilevanti solo per una coorte relativamente piccola di pazienti affetti da Alzheimer”, dice l’autore principale del lavoro, Sebastian Walsh, esperto di sanità pubblica a Cambridge. “Quindi i potenziali destinatari dovranno sottoporsi a una serie di valutazioni prima di poter accedere ai farmaci”, conclude. (30Science.com)
Valentina Arcovio
Alzheimer: i nuovi farmaci non faranno la differenza
(6 Agosto 2024)
Valentina Arcovio