Lucrezia Parpaglioni

Mappato l’impatto del Long-Covid

(5 Agosto 2024)

Roma  –– Tracciati numero e gamma di persone colpite da Long-Covid, meccanismi alla base della malattia, sintomi sviluppati dai pazienti  e  trattamenti attuali e futuri. A farlo un nuovo lavoro di revisione dei ricercatori delle Università dell’Arizona, di Oxford e di Leeds, riportato su The Lancet. Il Long-Covid, noto anche come condizione post-COVID-19, è generalmente definito come sintomi che persistono per tre mesi o più dopo per sperimentato il COVID-19 in forma acuta. La condizione può colpire e danneggiare molti sistemi di organi, causando un’alterazione grave e a lungo termine delle funzioni e un’ampia gamma di sintomi, tra cui affaticamento, deterioramento cognitivo, spesso definito “nebbia cerebrale”, dispnea e dolore diffuso. Il Long-Covid può colpire chiunque, comprese tutte le fasce d’età e i bambini. È più diffusa nelle donne e nelle persone di basso livello socioeconomico e le ragioni di queste differenze sono oggetto di studio. I ricercatori hanno scoperto che, mentre alcune persone migliorano gradualmente dal Long-Covid, in altre la condizione può persistere per anni. Molte persone che hanno sviluppato il Long-Covid prima dell’avvento dei vaccini riportano ancora numerosi sintomi. “Il Long-Covid è una malattia devastante con un profondo costo umano e un impatto socioeconomico”, ha dichiarato Janko Nikolich, direttore del Consorzio Aegis presso l’U of A Health Sciences, professore e capo del Dipartimento di Immunobiologia presso l’U of A College of Medicine – Tucson e membro del BIO5 Institute. “Studiandola in dettaglio, speriamo di capire i meccanismi e di trovare bersagli per la terapia contro questa, ma potenzialmente anche altre condizioni croniche complesse associate alle infezioni, come l’encefalomielite mialgica o sindrome da stanchezza cronica e la fibromialgia”, ha continuato Nikolich, che è anche autore senior del lavoro. Se una persona è stata completamente vaccinata ed è in regola con i richiami, il rischio di contrarre la condizione è molto più basso. Tuttavia, circa il 3% e il 5% delle persone in tutto il mondo sviluppano ancora il Long-Covid dopo un’infezione acuta da COVID-19. Secondo i Centers for Disease Control and Prevention, il Long-Covid colpisce circa il 4% e il 10% della popolazione adulta statunitense e 1 adulto su 10 che ha avuto il COVID sviluppa la condizione. Lo studio di revisione ha inoltre rilevato che è coinvolta un’ampia gamma di meccanismi biologici, tra cui la persistenza del virus originale nell’organismo, l’interruzione della normale risposta immunitaria e la coagulazione microscopica del sangue, anche in alcune persone che hanno avuto solo infezioni iniziali lievi. Non esistono ancora trattamenti comprovati per il Long-Covid e l’attuale gestione della condizione si concentra sui modi per alleviare i sintomi o fornire la riabilitazione. I ricercatori ritengono che sia assolutamente necessario sviluppare e testare biomarcatori, come gli esami del sangue, per diagnosticare e monitorare il Long-Covid e trovare terapie che affrontino le cause principali della malattia. Le persone possono ridurre il rischio di sviluppare il Long-Covid evitando di contrarre l’infezione, ad esempio indossando una mascherina negli ambienti chiusi affollati, assumendo tempestivamente gli antivirali in caso di infezione da COVID-19, evitando l’esercizio fisico intenso durante tali infezioni e assicurandosi di essere aggiornati con i vaccini e i richiami COVID. “Il Long-Covid è una condizione desolante, ma ci sono motivi per un cauto ottimismo”, ha dichiarato Trisha Greenhalgh, autrice principale dello studio e docente presso il Nuffield Department of Primary Care Health Sciences di Oxford. “Diversi trattamenti basati sul meccanismo sono in fase di sperimentazione”, ha proseguito Greenhalgh. “Se si dimostreranno efficaci, ci permetteranno di indirizzare particolari sottogruppi di persone con terapie di precisione”, ha afferrato Greenhalgh. “A parte i trattamenti, è sempre più chiaro che il Long-Covid rappresenta un enorme onere sociale ed economico per gli individui, le famiglie e la società”, ha aggiunto Greenhalgh. “In particolare, dobbiamo trovare modi migliori per trattare e sostenere i “lungodegenti”, ovvero le persone che non stanno bene da due anni o più e la cui vita è stata spesso stravolta”, ha concluso Greenhalgh.(30Science.com)

Lucrezia Parpaglioni
Sono nata nel 1992. Sono laureata in Media Comunicazione digitale e Giornalismo presso l'Università Sapienza di Roma. Durante il mio percorso di studi ho svolto un'attività di tirocinio presso l'ufficio stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Qui ho potuto confrontarmi con il mondo della scienza fatto di prove, scoperte e ricercatori. E devo ammettere che la cosa mi è piaciuta. D'altronde era prevedibile che chi ha da sempre come idolo Margherita Hack e Sheldon Cooper come spirito guida si appassionasse a questa realtà. Da qui la mia voglia di scrivere di scienza, di fare divulgazione e perché no? Dimostrare che la scienza può essere anche divertente.