Lucrezia Parpaglioni

I pronomi “questo” e “quello” sono catalizzatori di attenzione universali

(30 Luglio 2024)

Roma – I pronomi dimostrativi come “questo” e “quello” fungono da catalizzatori di attenzione nel corso di una conversazione in tutte le lingue del  mondo. Lo rivela uno studio del Max Planck Institute for Psycholinguistics, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences. Tutte le lingue hanno parole come “questo” e “quello” per distinguere tra referenti “vicini” e “lontani”. Lingue come l’inglese o l’ebraico hanno due di questi “dimostrativi”. Lingue come lo spagnolo o il giapponese utilizzano un sistema composto da tre parole. In spagnolo, ad esempio, “este” indica qualcosa di vicino a chi parla, “ese” indica qualcosa di lontano da chi parla ma vicino a chi ascolta e “aquel” indica qualcosa di lontano da entrambi. “Il motivo per cui eravamo interessati ai dimostrativi è il loro legame con la cognizione sociale: i dimostrativi sono usati per dirigere l’attenzione dell’ascoltatore verso un referente e stabilire un’attenzione congiunta”, ha spiegato Paula Rubio-Fernández, del MPI e ricercatrice senior e coautrice dello studio. “L’attenzione congiunta è una capacità esclusivamente umana che collega il linguaggio alla cognizione sociale nella comunicazione”, ha continuato Rubio-Fernández. “Poiché i dimostrativi sono universali, sono emersi precocemente nell’evoluzione del linguaggio e vengono acquisiti precocemente nello sviluppo del bambino, offrendo un banco di prova ideale per l’interdipendenza tra queste due capacità fondamentalmente umane”, ha precisato Rubio-Fernández. Per lo studio i ricercatori hanno utilizzato la modellazione computazionale e gli esperimenti con parlanti di dieci lingue diverse appartenenti a otto gruppi linguistici differenti. In un compito online, i partecipanti hanno visto le immagini di un “parlante” che chiedeva un oggetto a un “ascoltatore”, che si trovava dall’altra parte di un lungo tavolo. Ai partecipanti è stato chiesto di assumere il ruolo del parlante e di selezionare un dimostrativo dalla loro lingua madre per richiedere l’oggetto. Nelle immagini, l’ascoltatore stava già guardando l’oggetto desiderato oppure uno dei quattro oggetti più vicini o più lontani dall’obiettivo. Se dirigere l’attenzione fa parte del significato dei dimostrativi, tutti i parlanti dovrebbero essere sensibili all’attenzione iniziale dell’ascoltatore quando selezionano un dimostrativo. Tuttavia, dovrebbe esserci anche una variazione tra le lingue. I risultati hanno mostrato che i soggetti erano sensibili non solo alla posizione del bersaglio, ma anche all’attenzione dell’ascoltatore. Come si aspettavano i ricercatori, il significato dei dimostrativi variava all’interno e tra le lingue. Ad esempio, il dimostrativo “vicino”, come l’inglese “this one”, aveva talvolta un significato spaziale, “quello vicino a me”. Ma, aveva anche un significato di attenzione congiunta, “quello che stiamo guardando entrambi”, o un significato “mentalistico”, “questo qui”, che indirizzava l’attenzione dell’ascoltatore verso il parlante. È interessante notare che i parlanti di lingue con un sistema a tre parole usavano la parola mediale, come lo spagnolo “ese, per indicare l’attenzione congiunta. “Il nostro lavoro fa luce sull’interfaccia tra cognizione sociale e linguaggio”, ha affermato Rubio-Fernández. “Abbiamo dimostrato che le rappresentazioni dell’attenzione dell’interlocutore sono incorporate in una delle classi di parole più elementari che compaiono in tutte le lingue: i dimostrativi”, ha sottolineato Rubio-Fernández. “Il nostro lavoro mostra anche, attraverso una modellazione computazionale bayesiana, che questa forma di manipolazione dell’attenzione non può essere spiegata attraverso un ragionamento pragmatico esterno al sistema linguistico, suggerendo che le rappresentazioni mentalistiche sono incorporate in una componente universale del linguaggio”, ha concluso Rubio-Fernández.(30Science.com)

Lucrezia Parpaglioni
Sono nata nel 1992. Sono laureata in Media Comunicazione digitale e Giornalismo presso l'Università Sapienza di Roma. Durante il mio percorso di studi ho svolto un'attività di tirocinio presso l'ufficio stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Qui ho potuto confrontarmi con il mondo della scienza fatto di prove, scoperte e ricercatori. E devo ammettere che la cosa mi è piaciuta. D'altronde era prevedibile che chi ha da sempre come idolo Margherita Hack e Sheldon Cooper come spirito guida si appassionasse a questa realtà. Da qui la mia voglia di scrivere di scienza, di fare divulgazione e perché no? Dimostrare che la scienza può essere anche divertente.