Valentina Di Paola

Covid: SARS-CoV-2 si è diffuso tra la fauna selvatica

(29 Luglio 2024)

Roma – SARS-CoV-2, il virus responsabile del Covid-19, potrebbe essere più diffuso tra le specie selvatiche di quanto precedentemente ipotizzato. Lo evidenzia uno studio, pubblicato sulla rivista Nature Communications, condotto dagli scienziati del Fralin Biomedical Research Institute presso la Virginia Tech University. Il team, guidato da Carla Finkielstein, ha eseguito dei test su 23 specie comuni della Virginia, cercando infezioni attive e anticorpi elicitati in risposta all’esposizione precedente. Gli studiosi hanno raccolto 798 tamponi nasali e orali da animali catturati vivi e rilasciati, e 126 campioni di sangue da sei specie. Il gruppo di ricerca ha rilevato anticorpi specifici in sei specie comuni da cortile, con tassi che spaziavano dal 40 al 60 per cento. In particolare, i segni di una passata infezione sono emersi in topi, opossum, procioni, marmotte, conigli selvatici e pipistrelli. Questo lavoro, spiegano gli autori, mostra che il monitoraggio genetico negli animali selvatici è fondamentale per individuare l’esistenza di mutazioni genetiche specifiche e strettamente corrispondenti alle varianti circolanti negli esseri umani. I risultati avvalorano le ipotesi di trasmissione da uomo ad animale. L’esposizione più elevata, riportano gli autori, è stata riscontrata tra gli animali che frequentavano i sentieri escursionistici e le aree pubbliche molto trafficate.

 

Immagina che un virus sia come una chiave e che le cellule che può infettare siano come delle serrature. Un virus non può infettare nessuna cellula di nessun animale; deve trovare una cellula con la “serratura” giusta (chiamata recettore) o cambiare la sua chiave (le proteine ​​virali) per adattarla a una nuova serratura. Per fare questo, una chiave deve cambiare forma acquisendo mutazioni per adattarsi alla nuova serratura. Questo è ciò che Carla Finkielstein e il Virginia Tech Molecular Diagnostic Lab presso il Fralin Biomedical Research Institute hanno notato con le chiavi presenti nel SARS-CoV-2 quando il virus è passato a specie selvatiche come opossum e scoiattoli. La proteina S chiave ha acquisito almeno due mutazioni, visualizzate in giallo in questa simulazione, che hanno fornito un percorso evolutivo per il virus per saltare e trasmettersi ad altre specie. La parte viola è il recettore che viene riconosciuto dalla proteina S in modo che il virus possa entrare.
CREDITO
Carla Finkielstein/Virginia Tech

newCOVID wildlife mutation simulation 2

I dati ottenuti evidenziano nuove mutazioni potenzialmente pericolose di SARS-CoV-2, per cui sarà indispensabile istituire un monitoraggio più attento della fauna selvatica. “In generale – afferma Finkielstein – i virus devono attaccarsi a un ospite per sopravvivere. Visto l’effetto protettivo delle vaccinazioni per gli esseri umani, gli agenti patogeni si sono diffusi nella fauna selvatica, adattandosi e mutando per prosperare in nuovi ospiti”. “Questo studio – commenta Joseph Hoyt, autore corrispondente dell’articolo – suggerisce che il nuovo coronavirus si è diffuso nella fauna selvatica e le aree con elevati livelli di attività umana possono rappresentare punti di contatto per la trasmissione interspecie”. Sebbene sarà necessario proseguire le ricerche per capire i mezzi di diffusione del virus, gli autori ipotizzano che le acque reflue, i contenitori della spazzatura e gli scarti di cibo costituiscano le fonti più probabili. “Credo che il messaggio chiaro che emerge da questi risultati sia che il virus è piuttosto onnipresente – conclude Amanda Goldberg, prima firma dell’articolo – nel nostro lavoro ci siamo concentrati sulle specie della Virginia, ma è ragionevole ipotizzare che la situazione sia molto simile anche in altre zone. Per questo è davvero importante adottare un sistema di monitoraggio, basato anche sul sequenziamento del genoma virale. È necessario un approccio multidisciplinare per affrontare efficacemente l’impatto di SARS-CoV-2 sulle varie specie ed ecosistemi”.(30Science.com)

Valentina Di Paola
Classe ’94, cresciuta a pane e fantascienza, laureata in Scienze della comunicazione, amante dei libri, dei gatti, del buon cibo, dei giochi da tavola e della maggior parte di ciò che è anche solo vagamente associato all’immaginario nerd. Collaboro con 30science dal gennaio 2020 e nel settembre 2021 ho ottenuto un assegno di ricerca presso l’ufficio stampa dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio nazionale delle ricerche. Se dovessi descrivermi con un aggettivo userei la parola ‘tenace’, che risulta un po’ più elegante della testardaggine che mi caratterizza da prima che imparassi a usare la voce per dar senso ai miei pensieri. Amo scrivere e disegnare, non riesco a essere ordinata, ma mi piace pensare che la mia famiglia e il mio principe azzurro abbiano imparato ad accettarlo. La top 3 dei miei sogni nel cassetto: imparare almeno una lingua straniera (il Klingon), guardare le stelle più da vicino (dal Tardis), pilotare un velivolo (il Millennium Falcon).