Roma – Un nuovo studio aggiunge un tassello importante alla risoluzione dell’enigma della materia oscura – la cui natura è una delle grandi domande dell’astrofisica moderna tuttora senza risposta – mettendo potenzialmente in discussione i modelli cosmologici generalmente condivisi. Il gruppo di ricerca che ha firmato lo studio – di cui fa parte anche l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) – ha dimostrato che le velocità di rotazione delle galassie rimangono inaspettatamente costanti anche a distanze molto grandi dal loro centro, confermando le previsioni della teoria della gravità modificata Modified Newtonian Dynamics (MOND) che non contempla la presenza di materia oscura nell’universo. I risultati sono stati pubblicati su arXiv.org e in stampa su The Astrophysical Journal Letters. In questo lavoro è stata sviluppata una nuova tecnica che consente di misurare le cosiddette curve di rotazione delle galassie – ovvero le velocità di rotazione delle galassie dal loro centro – fino a grandissime distanze, pari a circa due milioni e 500 mila anni luce.
La tecnica utilizzata sfrutta il fenomeno della lente gravitazionale debole (weak gravitational lensing). Le implicazioni di questa scoperta potrebbero essere potenzialmente molto ampie, portando a ridefinire la nostra comprensione della materia oscura anche tramite teorie cosmologiche alternative. Il fenomeno della lente gravitazionale è stato previsto dalla teoria della relatività generale di Einstein e si verifica quando un oggetto massiccio, come un ammasso di galassie o anche una singola stella massiccia, devia il percorso della luce proveniente da una sorgente lontana con il suo campo gravitazionale. Questa curvatura della luce avviene perché la massa dell’oggetto deforma il tessuto dello spaziotempo che lo circonda. “Abbiamo usato la tecnica del weak gravitational lensing – dice Federico Lelli, primo ricercatore presso l’INAF di Arcetri – per misurare in modo statistico la ‘curva di rotazione’ media di galassie di diversa massa, raggiungendo grandissime distanze dal centro. Troviamo che le curve di rotazione continuano a rimanere piatte per centinaia di migliaia di anni luce, possibilmente fino a qualche milione di anni luce: questo è sorprendente perché a tali distanze ci si aspetterebbe di aver raggiunto il ‘bordo’ dell’alone di materia oscura, quindi le curve di rotazione dovrebbero iniziare a mostrare una decrescita kepleriana, ma invece rimangono piatte”. Le curve di rotazione misurano la velocità che un corpo celeste (come una stella o una nube di gas) a una certa distanza dal centro galattico deve avere per rimanere in un’orbita circolare attorno alla galassia.
La presenza di materia oscura nelle galassie è stata dedotta studiando proprio le curve di rotazione, negli anni a cavallo tra il 1970 e 1980. Si ritiene le curve di rotazione delle galassie debbano diminuire con l’aumentare della distanza dal centro della galassia. Secondo la gravità newtoniana, le stelle che si trovano ai margini esterni della galassia dovrebbero essere più lente a causa di una minore attrazione gravitazionale. Poiché questa ipotesi non corrisponde alle osservazioni, gli scienziati hanno ipotizzato la presenza della cosiddetta materia oscura, che non emetterebbe radiazione elettromagnetica ma sarebbe rilevabile solo mediante gli effetti del suo campo gravitazionale. Anche supponendo l’esistenza della materia oscura però, a un certo punto il suo effetto dovrebbe affievolirsi con la distanza, e quindi le curve di rotazione delle galassie non dovrebbero rimanere costanti in modo indefinito. Lo studio mette in dubbio questa ipotesi, fornendo una rivelazione sorprendente: l’influenza di quella che chiamiamo materia oscura si estende ben oltre le stime precedenti, ovvero per almeno un milione di anni luce dal centro galattico. Una forza così estesa potrebbe indicare paradossalmente che la materia oscura, come intesa finora, potrebbe non esistere affatto. “Questa scoperta mette in discussione i modelli esistenti – dichiara Tobias Mistele della Case Western Reserve University e primo autore dello studio – suggerendo che esistono o aloni di materia oscura molto estesi o che dobbiamo rivedere radicalmente la nostra comprensione della teoria gravitazionale”. Lelli aggiunge: “Abbiamo usato questi dati per studiare la relazione di Tully-Fisher – una legge di scala tra la massa barionica (quella di cui sono fatte le stelle e il gas) e la velocità di rotazione delle galassie – trovando che la stessa legge persiste quando utilizziamo le velocità misurate a grandissime distanze. Tale risultato non è affatto ovvio poiché a tali distanze la velocità di rotazione è determinata interamente dalla materia oscura, non da quella barionica”. Le osservazioni “ci permettono di raggiungere distanze dal centro galattico enormemente grandi, circa venti volte maggiori rispetto a quelle raggiunte con le tecniche classiche. Con grande sorpresa, abbiamo troviamo che le curve di rotazione rimangono quasi perfettamente piatte – in altre parole, la velocità rimane costante – fino alle distanze più grandi che siamo in grado di raggiungere”. Questo tipo di studio intende chiarire quale sia la natura della materia oscura, ovvero se questi fenomeni gravitazionali siano dovuti a un nuovo tipo di particella elementare “invisibile” ancora da scoprire, oppure se vi sia la necessità di rivedere le leggi gravitazionali di Newton ed Einstein. Lelli prosegue: “Questo risultato non ha una spiegazione ovvia nel contesto cosmologico standard della Lambda Cold Dark Matter (LCDM) e potrebbe avere a che fare con l’ambiente della galassia, ovvero con la distribuzione degli aloni di materia oscura più piccoli che si ritiene orbitare attorno all’alone principale. Per limitare questo effetto, infatti, abbiamo selezionato le nostre galassie per essere il più isolate possibile”. Curve di rotazione piatte fino a grandi raggi erano già state predette dalla teoria della gravità modificata MOND, proposta dal fisico Mordehai Milgrom nel 1983 come alternativa alla materia oscura. “Le nostre osservazioni sono in accordo con quanto predetto da MOND più di 40 anni fa”, conclude Lelli. Sono ora necessari ulteriori studi per chiarire l’avvincente rompicapo cosmologico e scrivere una nuova pagina di storia dell’astrofisica moderna.(30Science.com)