Roma – Riservare almeno il 20 per cento dei paesaggi agricoli al rewilding e adottare pratiche rispettose della fauna selvatica sui terreni agricoli rimanenti potrebbe invertire il declino della biodiversità, mantenendo al contempo la produzione alimentare. Questo secondo un gruppo di scienziati che hanno proposto su Frontiers in Ecology and the Environment un progetto per integrare il recupero della natura e l’agricoltura. L’intensificazione dell’agricoltura a partire dagli anni ’40 è stata fondamentale per aumentare le rese dei raccolti e la produzione di bestiame, ma ha contribuito in modo significativo al declino della biodiversità, che a sua volta minaccia la produttività agricola a lungo termine attraverso la perdita di impollinazione e di suolo, di controllo naturale dei parassiti e di ritenzione di acqua e sostanze nutritive. Il professor James Bullock, ecologo presso il Centro per l’Ecologia e l’Idrologia del Regno Unito (UKCEH), uno degli autori dello studio , ha affermato: “Invertire la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi è essenziale sia per la natura che per la sicurezza alimentare globale a lungo termine. Tuttavia, non esiste una soluzione miracolosa per il recupero della natura e finora non è stato chiaro come integrare il rewilding nei paesaggi agricoli. Il nostro approccio proposto va oltre il risparmio di territorio e la condivisione di territorio. Crediamo che il ritorno alla natura possa integrarsi nei paesaggi agricoli e potrebbe essere fondamentale per mantenere una produzione alimentare sostenibile a lungo termine per le persone e il pianeta”. Le proposte dei ricercatori sono le seguenti: Riservare almeno il 20 per cento dei terreni agricoli per il rewilding, vale a dire per il ritorno ad uno stato naturale dei terreni stessi; Collegare queste aree ripristinate con “corridoi verdi” costituiti da piccole isole forestali, tratti di macchia mediterranea e prateria, nonché siepi e stagni all’interno dei restanti terreni agricoli; Portare avanti un programma di misure a favore della fauna selvatica su numerose piccole aree dei terreni agricoli rimanenti. Queste piccole aree, messe insieme, rappresenterebbero un totale di almeno il 10 per cento della superficie agricola. Sommate ai terreni messi a riposo, queste misure consentirebbero di raggiungere l’obiettivo di ripristino del 30 per cento dei terreni degradati concordato nell’ambito del Quadro Globale sulla Biodiversità di Kunming-Montréal; Combinare misure di rewilding con tecniche agricole meno dannose sui restanti terreni agricoli, tra cui un uso ridotto di fertilizzanti e pesticidi e la semina di strisce fiorite per impollinatori e invertebrati che forniscono un controllo naturale dei parassiti. Secondo gli studiosi l’adozione di queste misure aumenterebbe anche la resa delle colture nei terreni agricoli circostanti grazie a una maggiore protezione del suolo, al controllo naturale dei parassiti e all’impollinazione. Ciò compenserebbe in parte la perdita di produzione complessiva dovuta alla destinazione di alcuni terreni agricoli al rewilding. Il professor José María Rey Benayas dell’Università di Alcalá ha affermato: “Integrare gli approcci di rewilding con l’agricoltura potrebbe creare paesaggi agroecologici ricchi di biodiversità, resilienti e funzionalmente connessi. Sebbene destinare terreni al recupero della natura potrebbe potenzialmente diventare un obbligo di legge per agricoltori e proprietari terrieri, è più probabile che il rewilding venga accettato e abbia successo se sono previsti incentivi sotto forma di pagamenti per i servizi ecosistemici e detrazioni fiscali”.(30Science.com)

Gianmarco Pondrano d'Altavilla
Studiosi, 20% della terra agricola torni alla natura per salvare la biodiversità
(18 Giugno 2025)
Gianmarco Pondrano d'Altavilla