Valentina Di Paola

Tumori: terapia CAR-T provoca nebbia cerebrale

(13 Maggio 2025)

Roma – Il trattamento CAR-T, delle cellule immunitarie progettate per attaccare il cancro, può provocare nebbia cerebrale, ovvero una difficoltà cognitiva che compromette memoria e concentrazione. Lo evidenzia uno studio, pubblicato sulla rivista Cell, condotto dagli scienziati di Stanford Medicine. Il team, guidato da Milan Gambhir, Lehi Acosta-Alvarez, Anna Geraghty e Michelle Monje, ha utilizzato un modello murino per considerare le conseguenze a lungo termine del trattamento antitumorale a base di cellule immunitarie. “La terapia CAR-T – afferma Monje – è estremamente promettente: stiamo osservando pazienti sopravvissuti a lungo termine dopo la terapia con cellule CAR-T per tumori aggressivi. Dobbiamo però comprenderne tutti i possibili effetti a lungo termine”. Il deterioramento cognitivo dopo la terapia con cellule CAR-T è in genere lieve, non associato a demenza, e tende a risolversi senza intervento. Nonostante ciò, può rivelarsi molto frustrante. Approvata nel 2017, la terapia CAR-T prevede la rimozione di alcune cellule immunitarie del paziente, note come linfociti T, e la loro ingegnerizzazione per attaccare bersagli presenti sulle cellule tumorali. Nell’ambito dell’indagine, gli animali sono stati sottoposti a test cognitivi standard, volti a misurare in che modo i topi rispondessero a un nuovo oggetto e come si orientassero in un labirinto semplice. La terapia con CAR-T ha causato un lieve deterioramento cognitivo nei topi con tumori originati, metastatizzati e localizzati completamente al di fuori del cervello. Gli unici topi testati che non hanno sviluppato deterioramento cognitivo dopo il trattamento con CAR-T sono stati quelli affetti da tumore osseo che causa un’infiammazione minima aggiuntiva, al di là dell’attività antitumorale delle cellule CAR-T. “Abbiamo riscontrato – riportano gli autori – la stessa identica fisiopatologia che abbiamo osservato nelle sindromi da annebbiamento mentale che si verificano dopo chemioterapia, radioterapia e COVID-19”. I ricercatori hanno dimostrato che le cellule immunitarie del cervello, chiamate microglia, svolgono un ruolo chiave in questo problema. In particolare, la microglia viene attivata dalla risposta immunitaria dell’organismo e produce citochine e chemochine, che possono provocare effetti diffusi in tutto il cervello, fino a portare a un deterioramento cognitivo. Gli scienziati hanno anche analizzato campioni di tessuto cerebrale di soggetti umani post-mortem. Anche in questo caso, le microglia e gli oligodendrociti apparivano disregolati. Quando ai modelli murini è stato somministrato un farmaco specifico, i deficit cognitivi sono svaniti. “Il nostro lavoro è così interessante – conclude Monje – perché abbiamo identificato le cellule centrali di una fisiopatologia precisa, individuando al contempo un bersaglio molecolare che potrebbe contribuire al trattamento”. (30Science.com)

Valentina Di Paola
Classe ’94, cresciuta a pane e fantascienza, laureata in Scienze della comunicazione, amante dei libri, dei gatti, del buon cibo, dei giochi da tavola e della maggior parte di ciò che è anche solo vagamente associato all’immaginario nerd. Collaboro con 30science dal gennaio 2020 e nel settembre 2021 ho ottenuto un assegno di ricerca presso l’ufficio stampa dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio nazionale delle ricerche. Se dovessi descrivermi con un aggettivo userei la parola ‘tenace’, che risulta un po’ più elegante della testardaggine che mi caratterizza da prima che imparassi a usare la voce per dar senso ai miei pensieri. Amo scrivere e disegnare, non riesco a essere ordinata, ma mi piace pensare che la mia famiglia e il mio principe azzurro abbiano imparato ad accettarlo. La top 3 dei miei sogni nel cassetto: imparare almeno una lingua straniera (il Klingon), guardare le stelle più da vicino (dal Tardis), pilotare un velivolo (il Millennium Falcon).