Scoperto nuovo gruppo di cellule nervose nel cervello che regola il peso corporeo

Roma – I ricercatori dell’Istituto Max Planck per la biologia dell’invecchiamento hanno scoperto un gruppo specifico di cellule nervose nell’ipotalamo del cervello che influenza il comportamento alimentare e l’aumento di peso. Queste cellule nervose sono controllate dall’ormone leptina, che sopprime l’appetito. La scoperta, pubblicata su Cell, offre il potenziale per sviluppare ulteriori trattamenti mirati per l’obesità. Il gruppo di ricerca ha identificato le cosiddette cellule nervose PNOC/NPY nel cervello dei topi. Quando attivate, queste cellule aumentano l’assunzione di cibo e portano all’obesità. È interessante notare che queste cellule nervose sono presenti anche nel cervello umano. Utilizzando nuovi strumenti genetici e di biologia molecolare, i ricercatori sono stati in grado di analizzare i neuroni a livello di singola cellula e di suddividerli in diversi cluster. All’interno di questo ampio gruppo di cellule nervose, solo un cluster è responsabile del comportamento alimentare osservato. Studi precedenti hanno dimostrato che i neuroni PNOC nell’ipotalamo sono particolarmente attivi quando i topi vengono alimentati con una dieta ricca di grassi. In ulteriori analisi, i ricercatori hanno scoperto che circa il 10% di queste cellule nervose presenta un recettore per l’ormone leptina. La leptina è prodotta nel tessuto adiposo e sopprime l’appetito nel cervello. Se il recettore della leptina in questo gruppo di cellule nervose PNOC veniva rimosso, i topi mangiavano di più e diventavano sovrappeso. “È stato sorprendente che un gruppo così piccolo di cellule nervose portasse specificamente all’obesità”, spiega Marie Holm Solheim, prima autrice dello studio. I ricercatori intendono continuare a studiare queste cellule nervose per identificare ulteriori bersagli specifici per potenziali farmaci e renderli suscettibili di intervento farmacologico. “Speriamo che i farmaci che agiscono su questo gruppo specializzato di cellule nervose offrano promettenti terapie alternative”, afferma Jens Brüning, responsabile dello studio. “Tuttavia, c’è ancora molta strada da fare prima che possano essere utilizzati”.(30Science.com)