Roma – Individuata correlazione tra la presenza di microplastiche e nanoplastiche, derivata dal consumo di cibi ultra-processati, nel cervello e lo sviluppo di demenza. È quanto emerge da una raccolta di quattro articoli, i cui autori sono Nicholas Fabiano, dell’Università di Ottawa, Brandon Luu, dell’Università di Toronto, David Puder, della Loma Linda University School of Medicine e Wolfgang Marx, del Food & Mood Centre e della Deakin University, riportata su Brain Medicine. Il cervello umano può contenere circa “l’equivalente di un cucchiaio” di microplastiche e nanoplastiche, con concentrazioni particolarmente elevate, da 3 a 5 volte superiori, negli individui affetti da demenza. Le particelle rilevate sono di diversa natura, con una prevalenza di polietilene, e il loro accumulo nel cervello è aumentato del 50% tra il 2016 e il 2024, segnalando una rapida infiltrazione di questi materiali sintetici nell’organo più protetto del corpo umano. Gli articoli sottolineano come le microplastiche derivino principalmente dal consumo di alimenti ultra-processati, che rappresentano oltre il 50% dell’apporto energetico in paesi come gli Stati Uniti. Questi alimenti contengono concentrazioni di microplastiche molto più elevate rispetto agli alimenti integrali: ad esempio, i nuggets di pollo possono contenere fino a 30 volte più microplastiche per grammo rispetto al petto di pollo. Le microplastiche, una volta ingerite, sono in grado di attraversare la barriera emato-encefalica e accumularsi nel cervello. I ricercatori citano prove sostanziali che collegano il consumo di alimenti ultra-processati a esiti negativi sulla salute mentale. Una recente revisione pubblicata sul BMJ ha rilevato che le persone che consumano alimenti ultra-processati hanno un rischio maggiore del 22% di depressione, del 48% di ansia e del 41% di disturbi del sonno. L’ipotesi innovativa avanzata dagli autori è che le microplastiche possano rappresentare l’anello mancante tra dieta industrializzata e salute mentale, agendo attraverso meccanismi biologici comuni come infiammazione, stress ossidativo, disfunzione mitocondriale e alterazioni dei sistemi neurotrasmettitoriali. Oltre a suggerire la necessità di ridurre il consumo di alimenti ultra-processati, gli autori propongono lo sviluppo di un Indice Alimentare di Microplastiche, DMI, per quantificare l’esposizione individuale. Uno degli articoli esamina anche la possibilità di utilizzare l’aferesi terapeutica extracorporea, una tecnica di filtrazione del sangue, per rimuovere le microplastiche dalla circolazione umana, anche se la ricerca in questo ambito è ancora agli inizi. Gli autori sottolineano che, sebbene siano necessari ulteriori studi per chiarire la relazione causale tra microplastiche, alimentazione e salute mentale, i risultati attuali pongono le basi per un cambiamento di paradigma nel modo in cui consideriamo i contaminanti ambientali e la salute cerebrale. “Dato che i livelli di alimenti ultra-processati, microplastiche e conseguenze negative sulla salute mentale aumentano contemporaneamente, è fondamentale approfondire questa potenziale correlazione. Dopotutto, siamo ciò che mangiamo”, ha concluso Fabiano. (30Science.com)

Questa immagine di copertina raffigura un cervello umano con particelle di microplastica colorate sparse sulla sua superficie, accostate a un cucchiaio di plastica bianca come rappresentazione visiva. La ricerca ha rivelato che il cervello umano contiene circa “l’equivalente di un cucchiaio” di microplastiche e nanoplastiche, con concentrazioni particolarmente elevate (3-5 volte superiori) negli individui affetti da demenza. Le particelle multicolori mostrate sulla superficie del cervello rappresentano la varietà di tipi di plastica rilevati, con il polietilene in prevalenza. L’immagine illustra il preoccupante aumento del 50% della concentrazione di microplastiche osservato tra il 2016 e il 2024, evidenziando la rapida infiltrazione di questi materiali sintetici nel nostro organo più protetto.
Credito
Genomic Press